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Vittorie perdute

Regia di Ted Post vedi scheda film

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La recensione su Vittorie perdute

di sasso67
6 stelle

«O viandante, annuncia agli Spartani che qui

noi siamo obbedienti alle nostre comuni leggi.» Il titolo originale del film, Go Tell the Spartans, fa riferimento ai celebri versi del poeta Simonide, scolpiti su una lapide apposta nei pressi della gola delle Termopili, per celebrare il sacrificio di Leonida e dei suoi trecento Spartani, che si sacrificarono per sbarrare il passo ai Persiani di Serse. I "consiglieri militari" americani trovano questa scritta sull'insegna di un cimitero di soldati francesi, i cui cadaveri giacciono sul suolo di quella che un tempo era stata l'Indocina. E l'esempio francese è il tabù da evitare, in questi primi tempi della sporca guerra del Vietnam (siamo nel 1964): «non commetteremo gli stessi errori dei Francesi» è una frase ricorrente, quasi un mantra ossessivo, per evitare la stessa triste sorte dell'esercito coloniale di Parigi. E invece, tutto sommato, non c'era un'altra possibilità, in un'epoca in cui il colonialismo doveva considerarsi definitivamente tramontato, quanto meno in quell'area del mondo, che rivendicava il diritto all'autonomia, secondo un sistema politico magari discutibile, che ha posto il paese asiatico ora nell'orbita dell'URSS e ora della Cina e in contrasto alternativamente con l'una e con l'altra superpotenza. C'è un altro spunto di riflessione che sorge con questo film, riuscito parzialmente, di un regista dotato di solido mestiere, del quale costituisce, comunque, uno dei vertici cinematografici. Lo evidenziò Tullio Kezich all'epoca dell'uscita del film (1978): «Abbiamo sempre ammirato la capacità del cinema americano di rispecchiare senza esitazioni anche la contemporaneità più scottante, ma nel caso del Vietnam l'entità della lacerazione prodotta dalla "sporca guerra" è confermata dalla lentezza con cui Hollywood sta appropriandosi del tema. Solo adesso, mentre nel Viet Nam si stanno accendendo nuovi conflitti contro la Cina e i Khmer cambogiani, cominciano a passare sugli schermi USA i film della cattiva coscienza». In effetti, mentre già nel secondo anno della Seconda Guerra Mondiale (che per gli Stati Uniti ebbe inizio nel dicembre del 1941, dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbor) si era avuta una notevole produzione di film bellici, anche di pura propaganda - cosa che si era poi ripetuta per la Corea - nel caso del Vietnam l'andamento è stato assai diverso. Il primo film di un certo rilievo sulla sporca guerra (ma, si domanda Kezich, «quanti militari la pensavano in questo modo sull'argomento nel '64?») è, difatti, il pessimo Berretti verdi (1968) di John Wayne. Gli altri film in cui veniva in gioco la guerra del Vietnam (per esempio Alice's Restaurant di Arthur Penn) ne parlavano di rimando, come uno spauracchio da evitare, come di un mostro lontano nella cui bocca bisognava evitare di essere mandati, per paura e per principio pacifista. Solo nel 1978, con questo film di Ted Post e con Il cacciatore si ha una vera resurrezione del cinema sul Vietnam che, con Apocalypse Now (1979) ed il suo successo planetario - si tratta di un film amato da quasi tutti, cinemaniaci ed appassionati di pellicole belliche ed avventurose -, darà vita ad un vero e proprio filone, anche da sfruttare commercialmente. Ai produttori hollywoodiani, così come al maggiore interpretato da Burt Lancaster, non resterà che rimpiangere i tempi eroici deloo sbarco di Anzio e di Bastogne, davanti a questa gitarella per fessi «che non vale nemmeno il prezzo del biglietto».

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