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Umberto D.

Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film

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La recensione su Umberto D.

di Antisistema
10 stelle

«Se è vero che il male si può combattere anche mettendone a nudo gli aspetti più crudi, è pur vero che se nel mondo si sarà indotti, erroneamente a ritenere che quella di Umberto D. è l'Italia della metà del XX secolo, De Sica avrà reso un pessimo servizio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di una progredita legislazione sociale» (Giulio Andreotti in merito ad Umberto D.)

 
Il concetto espresso dal politico più controverso dell'Italia repubblicana, seppur in parte vero, esprime un cerchiobottismo inaccettabile tipico del personaggio in questione, ma al tempo stesso tali parole, indicano al meglio su come le opere neorealiste furono osteggiate dal potere costituito, con la scusa di dare una pessima immagine del paese all'estero, quando mostravano semplicemente le problematiche e le contraddizioni, di un paese, che la classe dirigente voleva nascondere sotto al tappeto.

Punto di arrivo della collaborazione tra Vittorio De Sica e Cesare ZavattiniUmberto D. (1952), funge anche da conclusione finale della ricerca neorealista.
Forse per comprenderlo appieno, bisognerebbe avere una certa età o comunque aver passato difficoltà economiche, che pgiorno dopo giorno annichiliscono l'essere umano.
Umberto D. è il cinema neorealista, nella sua forma più autentica; mettendo in scena la quotidianetà di tutti i giorni, senza elidere nulla di essa, avvalendosi inoltre di un cast di attori non professionisti, cominciando dalla figura principale interpretata dall'accademico Carlo Battisti, così come altri personaggi di contorno come la servetta Maria, interpretata da Maria Pia Casilio, successivamente caratterista in molti altri film. Si deve proprio a queste scelte di casting, la piena riuscita di un'opera, che si distacca da certo documentarismo di matrice neorealista, per farsi parabola universale dei sopprusi e delle ingiustizie presenti nella società.
La Roma in cui si agira Umberto Domenico Ferrari insieme al suo cane Flaik, è una città avviata verso una massificazione sociale dove i ritmi indiavolati del lavoro e del progresso imminente di lì a poco, porteranno al boom economico, ma a livello umano si arriverà sempre più ad una maggiore insensibilità, se non indifferenza sociale verso il prossimo in difficoltà.
La trama è semplice quanto scarna nel suo soggetto base, così come lo sviluppo risulta linearmente elementare. Eppure nella sottrazione narrativa che rinnega ogni spettacolarizzazione a favore della sobrietà stilistica estrema, De Sica costruisce una pellicola sperimentale nella sua poetica pregna di solitudine, umiliazioni, degrado, (in)sensibilità umana, disperazione ed infine speranza, quest'ultima però, coerentemente con le opere precedenti del regista - ad eccezione di Miracolo a Milano (1950) - , viene indirizzata verso un orizzonte privo di risoluzione e dal futuro incerto, in quanto la vita quotidiana non ammette risoluzioni "narrative" conclusive e certe.
Non sapremo cosa riserverà la vita dopo la conclusione del film ad Umberto D. o alla servetta Maria - unico personaggio solidale con il protagonista, dovuto anche alla sua condizione disperata, di donna incinta, con i suoi due amanti, che rifiutano di assumersene la paternità -, le linee narrative aperte in merito ai personaggi, sono una caratteristica tipica del neorelaismo, che si poneva in contrasto con il cinema narrativo classico, dove tale espediente, verrebbe considerato un errore.

Continuare a vivere è un imperativo categorico per affermare prima di tutto, la propria vittoria nella battaglia per affermare la propria esistenza, in una società progettata per relegare gli indesiderati ai margini, privandoli della voce, perchè scandalosamente imbarazzanti, per un paese che vuole dare un'immagine falsa di sè. 

 

 

La fotografia dai netti contrasti chiaroscurali di G.R. Aldo esalta i progressivi mutamento d'animo del protagonista ed il suo legame indissolubile con il cane Flaik. spesa inutile secondo molti, perchè l'uomo con una pensione di appena 18000 lire - di cui 10000 se ne vanno solo di affitto - non riesce più a campare decentemente. 
Non di solo pane vive l'uomo e quella spesa "superflua" del cane, risulta "leggera" rispetto al legame umano avvenuto con l'animale e l'affetto salvifico capace di donare all'uomo.
Umberto D. esemplifica meglio di moltissimi altre pellicole specificamente legate all'argomento, il rapporto tra l'uomo ed il cane oramai addomesticato da millenni, divenuto così presenza imprescindibile, donandogli compagnia e fedeltà, in una società sempre più complessa e mostruosa, dove i vecchi consocenti del protagonista, ad una richiesta di aiuto da parte di questi ultimo, eclissano velocemente la questione in modo imbarazzato ed imbarazzante. 

La simpatia del regista è ovviamente verso gli ultimi e gli indifesi, il potere politico è insensibile alle richieste dei pensionati di un aumento mandandogli contro la polizia, la padrona di casa Antoni (Lina Gennari) è insensibile ai bisogni dell'uomo anziano e non vede l'ora di cacciarlo di casa, la suora gli assicura un posto prolungato in ospedale in cambio di pigre attestazioni di fede ed infine gli amici e conoscenti dell'uomo, vedono con malcelato imbarazzo le sue richieste di aiuto liquidandolo velocemente appena possibile. 

Il percorso verso una speranza è impossibile, se non si è attraversato prima la sofferenza più nera.
Umberto D. mangia da tempo alla mensa dei poveri nel tentativo di fare economia, poi cerca di farsi ricoverare in ospedale il più a lungo possibile per risparmiare sul pigione dell'affitto, abbassandosi poi a compiere l'elemosina, recedendo però a causa dell'imbarazzo, giungendo infine alla consapevolezza di come questo schifoso mondo non lo voglia più, in quanto essere non produttivo e quindi elemento di cui se ne può fare a meno.
Il suicidio resta l'unico atto di affermazione individuale, innanzi all'annichilimento di una realtà distruttiva.
In una struggente quanto devastante sequenza di scandaglio psicologico e tensione insostenibile, per l'emotività conferita dal montaggio e dall'uso del sonoro, senza cedere mai al ricattatorio, giungendo in conclusione ad ad una rinascita del personaggio, in una vita sempre penosa ed amara, ma con la consapevolezza di un legame con Flaik, che gli fà comprendere l'unica cosa veramente importante; vivere!

Umberto D. è un perfetto esempio di come fare un capolavoro con pochi soldi, scarnificando il linguaggio del cinema all'essenziale, togliendo il superfluo, giungendo così al nocciolo dell'animo umano. 

Carlo Battisti

Umberto D. (1951): Carlo Battisti

 

Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

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