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Bridgend

Regia di Jeppe Rønde vedi scheda film

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La recensione su Bridgend

di mck
7 stelle

L'etica e la morale soccombono di fronte alla tecnica e all'arte.

 

 

PARLATECIIIH DIH BIBBIANOOOHHH!!1!1!!

Se abiti in un paese in cui uno dei massimi divertimenti la sera è quello di rincorrere le pecore, allora ecco che il suicidio (un atto, si badi bene, radicatamente interclassista) rientra fra le opzioni praticabili.

A BridgEnd, ovvero "Alla Fine del (Vecchio) Ponte" ("Pen-y-Bont ar Ogwr" nel celtico gallese), capoluogo di 40.000 abitanti dell'omonimo distretto di contea (comunità/parrocchia) del Southern Wales, e dintorni, gli adolescenti da metà anni zero s'impiccano ai rami, ai pomelli delle porte e a qualsiasi altro oggetto naturale o manufatto adatto all'uopo con un tasso superiore rispetto al resto della comunque non proprio ridente popolazione delle Isole Britanniche.

"Our valleys were once a thriving industrial area, a major source of coal and steel for the world’s population. But now? Unemployment is rife, there are problems with heart disease, obesity, mental health issues, and as a result, very high suicide rates. The idea that anyone would want make a film about that, about us, for entertainment purposes, makes my stomach churn."
https://www.filminquiry.com/bridgend-2015-review/

 


BridgEnd” è anche un superficiale film di finzione del 2015 (uscito due anni dopo l'omonimo documentario di John Michael Williams), esordio nel lungometraggio (dopo alcuni short e doc, cui poi ne seguiranno altri) per il danese Jeppe Rønde, classe 1973, che, in quanto a metodo d'indagine traslante la realtà nell'arte (la sceneggiatura è del regista che l'ha scritta con Peter Asmussen e Torben Bech), possiede, esercita, dimostra ed esprime la stessa profondità di un servizio de Le Iene sullo Stamina del recentemente resosi defunto Davide Vannoni o dei peggiori momenti di conclamata incapacità mentale [(r)inco]scientemente sfruttati da Rodney Ascher in “Room 237”: praticamente, è la versione misterica (e, quando già non lo è, adolescenziale) di “Roger & Me”, “Rosetta / le Silence de Lorna / le Jeune Ahmed” e “Riff-Raff / Raining Stones / My Name is Joe / the Navigators / Sweet Sixteen / I, Daniel Blake”.

 


Le “ragioni”, le cause, le “motivazioni” e la matrice della tranquilla escalation continua (i numeri non mentono, ma la percezione può annebbiare e raddoppiare la vista) di suicidi non vengono, mai, veramente indagate: una delle prime opzioni che saltano in mente allo spettatore (un qualche principio attivo tossico e inquinante sversato nelle acque del bacino idrico) viene subito scartata ed esclusa sin dai primi minuti dall’evidenza dei fatti.

(Anche noi, qui al paese, avevamo e tutt’or’abbiamo due laghetti, ricavati dall’abbandono dell’attività estrattiva e conseguente riqualificazione di cave di sabbia e ghiaia: in uno, più che altro, ci si va a pescare e a prendere il sole, nell’altro, più che altro, a fare jogging e a comprare fumo.)

A volte, “semplicemente”, non ci sono spiegazioni, che non siano il causale innesco casuale di una scintilla, cui segue il divampare un piccolo fuoco, che poi finisce per spegnersi, autoestinguendosi.

 


L’ingenuità (e/o la malafede) della rappresentazione (del costrutto preesistente innervato di vuoti inconoscibili e di aggiunte posticce), dell’interazione tra i personaggi e della coesione dell'intreccio, però, non bastano a far crollare tutto l’impianto, e una regìa consapevole (una sapiente esplorazione del quadro, long-take, movimenti di macchina), un parco attori, con in testa la bravissima e luminosa Hannah Murray (il cui talento era già evidentissimo sin dai tempi di “Skins”, per poi proseguire e confermare il tutto con “Game of Thrones”, “Detroit”, “Womb” e “Charlie Says”), validissimo (tra i quali: Steven Waddington e Josh O'Connor, rispettivamente il padre e il ragazzo di lei), l’ottima fotografia di Magnus Nordenhof Jønck, l’intelligente montaggio di Olivier Bugge Coutté e le potenti, dolcissime musiche elettro-sint/tecno-metal di MondKopf (Paul Régimbeau) e Karsten Fundal lo salvano e ne consentono il consigliarne - scusate l’intransitivo pronominale forzato, o giù di lì - l’assistervi (anche in Galles, forse).

E guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere
Se poi è tanto difficile morire…

* * * (¼) ½        

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