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The Witch

Regia di Robert Eggers vedi scheda film

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La recensione su The Witch

di alan smithee
7 stelle

Il fascino del mistero, del non detto, prevale sulle ragioni del racconto e rende il film un valido scrigno di emozioni: favola horror cupa che si concede poco per volta e si lascia guardare con meraviglia e una certa emozione, la stessa che trapela dagli occhi impauriti del bambino che ascolta impietrito una favola di cui teme il finale ben noto.

Un medioevo tardivo e fuori continente fa da sfondo, fondamentale, cupo, emozionante e dall’alto potere suggestionante, al film d’esordio di Robert Eggers, premiato per la miglior regia all’ultimo Sundance Film Festival.

Un film che, al di là della vicenda, fosca e misteriosa, basata su racconti a sfondo esoterico che venivano tramandati dalla tradizione popolare, ma tutt’altro che originale, conta davvero molto sulla regia, sulla appropriata confezione, per stupire, o emozionare, o comunque per guadagnarsi una traccia più o meno indelebile nella memoria di chi lo vuol già considerare un cult, o semplicemente un ottimo esordio che fa ben sperare.

Una coppia di allevatori e contadini, allontanati dal villaggio perché accusati di eccessiva e sin troppo rigorosa, se non fanatica, osservanza delle regole religiose, deve arrangiarsi contando sulle proprie forze, facendo fronte comune contro sfortuna, imperizia e ostilita' del territorio circostante. E lottando strenuamente per sopravvivere ai margini di una foresta poco accessibile entro la quale pare inevitabilmente annidati il maligno.

Cinque figli a carico di cui uno appena nato, la presenza di un dio severo e rigoroso a cui essere devoti e servitori, e dal quale non potersi aspettare nulla di apertamente gratificante lungo una vita terrena assimilabile ad un vero e proprio calvario.

La sparizione, in circostanze subitanee e misteriose, dell’ultimo nato, letteralmente volatilizzatosi sotto lo sguardo della bella sorella maggiore, espone quest’ultima ad una responsabilità e ad una pena nell’essere additata, soprattutto dalla genitrice, complici i due maliziosi fratelli gemelli minori, come l’essere della famiglia più esposto alle influenze malefiche del demonio, la cui presenza aleggia ai margini della foresta, sempre pronto ad attaccare come un lupo nei confronti del gregge indifeso.

Finirà nel più macabro dei modi, con una autodistruzione dai connotati profetici, in linea con l’atmosfera cupa e rigorosa che già dal suo epilogo non annunciava nulla di roseo.

Il film esalta visivamente la purezza e la bellezza della gioventù, esponendola come per un gioco beffardo e crudele alla presenza di una bestia tentatrice e infingarda che può avere solo origini demoniache, ma che si annida nelle viscere degli stessi perversi, anche se probabilmente inconsapevoli, accusatori, o assume le sembianze classiche che la tradizione popolare riconosce in certi animali dalle corna pronunciate come il maschio della capra.

Il fascino della messa in scena e della costruzione d’ambiente prevalgono sulle incongruenze di una storia sviluppata ed articolata in modo scaltro, diaposta a raccontare solo quello che vuole e rivelatrice di poco  o nulla, quanto a concretezza. Stratagemma tuttavia utile per scandire la tensione, con accurata, pianificatissima e deliberata volontà di tener racchiusi e centellinare i particolari di una verità che potrà anche non venir mai rivelata.

E ancora, il fascino del mistero e del non detto prevalgono sulle ragioni del racconto e rendono il film un valido scrigno di emozioni, una favola horror cupa che si concede poco per volta e si lascia guardare con meraviglia e una certa emozione, la stessa che trapela dagli occhi impauriti del bambino che ascolta impietrito una favola di cui teme un finale ben noto, almeno per sommi capi.

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