Regia di Pietro Parolin vedi scheda film
La commedia antropologica italiana si “arricchisce” geograficamente inglobando nel paesaggio ridanciano il poco illustrato Veneto, privato della solita opposizione con il meridione - o quasi: c’è uno strozzino camorrista in quota disagio economico. Il Veneto lavoratore, cinico e disilluso. Il Veneto del Prosecco e del Valpolicella; della retorica leghista e del dialetto respingente. Infine, e in particolare, il Veneto di una famiglia nobile che resiste al suo decadimento con qualsiasi mezzo, ma la certificazione della crisi è ovunque, strillata senza garbo. Il protagonista è Gualtiero Cecchin, ex ricco, sfaticato: pronto a tutto (anche a produrre crocifissi in plastica riciclabile, purtroppo esplosiva...) pur di non lavorare. Matrimonio fallito e figlio rigoroso che si sporca le mani, come il compianto nonno. La mamma, invece, vegeta a letto, da dove tiene in scacco la città grazie alle sue amicizie influenti. Poi c’è la sorella, insegnante che si trascina dietro un poliziotto scemotto e sterile, ossessionato da Gualtiero, al quale vorrebbe sottrarre il ruolo familiare. E nel quadretto c’è spazio anche per una banchiera bona con il vizio del sadomaso. Insomma un bel teatrino, con predicozzo sociologico annesso, che finisce anche per raccontare l’Italia un po’ più delle commedie in voga. Ma il tono farsesco con cui vengono sottolineate le bassezze (in un omaggio, in minore, a Monicelli) è ripetitivo, come le musiche e la solita voce off per analfabeti dell’immagine.
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