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Il racconto dei racconti

Regia di Matteo Garrone vedi scheda film

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La recensione su Il racconto dei racconti

di EightAndHalf
7 stelle

Il Bello e il Brutto.

 

...ovvero la natura ondivaga della forma, che cade talvolta nelle figure aggraziate e splendenti di fulgidi incarnati, talvolta nel lerciume asfittico di orrorifiche mostruosità. Gli scarti ossimorici di ciò che è ripulito ed elegante e di ciò che è sgraziato e sporco sono una frequente chiave di lettura nel cinema di Matteo Garrone. Si pensi a una delle scene finali di Gomorra, in cui uno dei personaggi vede il risultato del lavoro in nero che ha compiuto nel mondo splendente (ed "esterno", visibile) di un red carpet. Si pensi a Reality, che alla messa in mostra di un bello figurativo conformista e affabulatore sostituisce la rovinosa follia di una dimensione popolare, semplice, (fin troppo) illusa. Si pensi alla bellezza "anoressica" di Primo amore, o alle attrazioni oscure de L'imbalsamatore: il cinema del regista romano viaggia sui binari a doppio senso di ciò che viene mostrato abitualmente e di ciò che normalmente viene nascosto, celato, perché fastidioso, ripugnante, nocivo. Non è tanto questione di realismo, o di "rivincita del freak"; è più che altro una questione di forma, di pelle scorticata via da un mondo riempito a forza di lustrini, di ninnoli, di cannibalici, futili ornamenti.

 

John C. Reilly, Salma Hayek

Il racconto dei racconti (2015): John C. Reilly, Salma Hayek

 

Il racconto dei racconti vive proprio di questa contrapposizione, il bello e il brutto e cosa questi comportino a livello di messa in scena. E il segreto del fascino di questa antitetica accumulazione di situazioni e stravolgimenti narrativi è il mantenimento di un registro formale rigido e rigoroso, senza svolazzi, senza tentazioni "colossali" di sorta, senza ambizioni che risultino eccessive rispetto a quante sono (o si intuiscono essere) le intenzioni del maestro Garrone. Quello del Racconto dei racconti è un cinema outsider che non ha mai avuto voglia di sfoggiarsi in quanto tale, e che non accetta compromessi, benché sembrasse proprio dovesse essere così, a partire dal riassunto della trama del film: una serie di fiabe, tre per l'esattezza, intrecciate fra di loro con fluida susseguenza. Dunque un gruppo di storie che della fiaba però hanno solo l'aspetto, e non certo l'ingenuità che aprioristicamente imputiamo al genere; esse non sono infatti affatto edulcorate. Esse non vivono di manicheismi o di separazioni caratteriali, ma piuttosto della netta, sottolineata, contrapposizione di bello e brutto, di consolatorio e di torbido, di leggero e di impressionante, come un ruscello che secondo che sia pulito o sporco dice se effettivamente tutto va bene o va male. 

Ecco in che senso Il racconto dei racconti, nel suo procedere, a livello sensitivo ancora più che estetico, imputridisce.

 

Guillaume Delaunay, Bebe Cave

Il racconto dei racconti (2015): Guillaume Delaunay, Bebe Cave

 

Proprio il ruolo della fiaba è certamente un perno centrale nell'analisi di un film come The Tale of the Tales. La fiaba presupporrebbe, secondo la cattiva interpretazione che se ne fa nell'uso comune, una trama idealizzata che affretti gli eventuali, sporadici, aspetti macabri per lasciare intendere una morale, un significato. Ecco, se vogliamo, le fiabe raccontate in Il racconto dei racconti vanno a spolpare il genere riportandolo alla sua natura iniziale, intenzionale, immanente, che è quella di una rottura netta fra gli opposti. Non c'è tanto divisione di buoni o cattivi: per parlare di passioni umane (di cui normalmente le fiabe parlano - e noi pensiamo lo facciano nei sottintesi) c'è bisogno di personaggi imperfetti, straordinariamente imperfetti, che per gli eccessi in cui finiscono per cacciarsi rivelano il loro lato più oscuro, ributtante, insolito. Una madre gelosa all'eccesso del figlio, un padre che affida alla sorte il destino della figlia, due anziane sorelle che aspirano alla regalità della bellezza, sono tutti quasi topoi fiabeschi che nel Racconto dei racconti si ripresentano pregni della loro naturale (verrebbe quasi da dire "atavica") ambiguità. E Garrone è maestro dell'ambiguità, almeno per ciò che riguarda il continuo rispondersi di contenuti rallentati, pacati seppure violenti, e di forme rigorose, attente, quasi labirintiche. 

 

Salma Hayek

Il racconto dei racconti (2015): Salma Hayek

 

Il discorso che dunque Garrone porta avanti nella sua nuova ultima fatica è un esperimento estetico che è suo al 100%, e per fortuna non cede al compromesso, pur proponendo un percorso che "si conclude" dovendosi attenere al presupposto della "fiaba", che se vogliamo nasce pregna di un'intenzione esplicativa. Quello che dimostra Garrone non ha i contorni definiti, nel senso che lascia l'ultima parola. Ma il modo in cui improvvisamente capovolge il testo filmico in funzione di quella precisa direzione, che diventa chiara e lampante in tutte le vicissitudini, è forse il tassello che frena la bellezza  (brutta!) del Racconto dei racconti, e lascia intendere più di un limite, che a conti fatti si rivela chiaro pensando il film a luci riaccese: a una prima parte dispersiva corrisponde una seconda parte esplicita, più avvincente forse, ma incanalata del tutto in un "discorso". Niente di didascalico ovviamente, ma quasi una tesi forte, prepotente (e prepotentemente affascinante) da proporre. Tanto che il finale, nel suo aspetto più metaforico, è relativamente prevedibile.

 

Vincent Cassel

Il racconto dei racconti (2015): Vincent Cassel

 

Ecco dunque l'impossibilità degli antipodi. La pelle del film viene strappata via, si risale al nocciolo della questione, fino a rendere i personaggi non tanto psicologie particolari, ma pure forme dagli accessi motori pulsionali. Un film sull'oscurità dell'essere umano che tenta un percorso apparentemente insolito, riuscito pur nell'utilizzo di effetti speciali spesso dissimulati e "celati" dall'oscurità (con scivoloni imperdonabili qui e lì), e nutrito della sua stessa narrazione, tanto che per chi non l'ha visto è meglio disdegnare qualsiasi sunto di seconda mano. Un film da "vedere", che non spoglia di tanto le certezze, ma ha un fascinoso ché di essenziale.

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