Regia di Paolo Martino vedi scheda film
Il regolamento di Dublino, un regolamento del 2003, determina qual è lo Stato membro dell’Unione Europea a dover considerare una domanda d’asilo politico o il riconoscimento come rifugiato secondo la Convenzione di Ginevra. Di solito è il primo Stato membro incontrato sul cammino del richiedente asilo, quello in cui sono state registrate le sue impronte digitali. Uno Stato in cui si è obbligati a tornare. Uno Stato di confine che - non sempre, raramente, mai - è in grado di assistere questo individuo. Uno Stato come l’Italia, per esempio.
Terra di transito racconta la storia di Rahell, uno che bimbo, nel 1988, lasciò l’Iraq bombardato per rifugiarsi a Damasco, e che oggi dalla Siria, come allora, è stato costretto a fuggire. Non può raggiungere coloro che della sua famiglia sono in Europa, in Svezia, se non per una visita fugace: perché è prigioniero di questa terra di transito, del regolamento di Dublino e dell’Italia. Martino, mentre segue Rahell, raccoglie le voci dei rifugiati, migranti per sopravvivenza, costretti in uno Stato che non sa assisterli e li riduce al vagabondaggio, alla miseria, al nulla (nessuna possibilità d’integrazione, ma 2 euro e 50 al giorno) e confronta il loro stato con quello dei pari in Svezia (dove seguono corsi di formazione e percepiscono 800 euro mensili). I meriti del film sono informativi. I demeriti sono quelli di tutto il documentario sociale italiano: lo scavo superficiale nei contenuti, il lirismo posticcio per produrre sdegno immediato.
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