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Maraviglioso Boccaccio

Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film

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La recensione su Maraviglioso Boccaccio

di laulilla
6 stelle

Film penalizzato dall'interpretazione ingessata e poco espressiva di alcuni attori, che mantiene, tuttavia, una certa dignità cinematografica grazie soprattutto alla regia e al gusto coloristico dei Fratelli Taviani.

 

Il Maraviglioso Boccaccio dei fratelli Taviani è un film alquanto spiazzante per chi non ce la fa a dimenticare Pasolini e la lettura personalissima che il nostro grande intellettuale diede del Decameron nel 1971. Quella pellicola* rifletteva sia la weltanschauung pasoliniana, sia il clima degli anni che immediatamente seguivano il ’68, quando nei giovani era ancora viva la speranza di costruire una società diversa, fondata non sull’ipocrisia delle leggi morali e religiose, ma sulla libertà dei comportamenti, che si liberano da imposizioni e diktat, per seguire le leggi della natura.

 

Non può stupire, perciò, che nel 2015, in una temperie culturale e politica del tutto diversa, il Decameron si sia prestato ad altro tipo di lettura, forse meno affascinante e meno vivace; è tipico dei grandi capolavori del passato, del resto, offrire infinite possibilità di approccio e di interpretazione.


I fratelli Taviani, per loro libera scelta, hanno attribuito alla cosiddetta Cornice, cioè all’antefatto dei racconti, una parte importantissima, sviluppando perciò molto ampiamente, in rapporto alla durata del film, il tema della peste del 1348 - e, pertanto, della morte - e attribuendo ai dieci giovani, che casualmente si erano incontrati in Santa Maria Novella e che avevano deciso di allontanarsi dalla città, un ruolo di rilievo maggiore di quanto non fosse nelle pagine boccacciane.

 

In conseguenza di questo i registi hanno ridotto a cinque le novelle rappresentate (che qui appaiono come unità a sé stanti, ben staccate dai narratori)**, scelte secondo le loro predilezioni di lettura, stando almeno a quanto essi stessi hanno più volte dichiarato.

Lo scenario della cornice si presenta con l’anacronismo vistoso della villa La Sfacciata, costruzione sui colli fiorentini non trecentesca, ma di pure linee pre-rinascimentali (è infatti quattrocentesca) all’esterno; mentre alcuni mobili dell’arredamento interno sono riccamente scolpiti, secondo gli usi patrizi in pieno Rinascimento.

Molto belli i costumi indossati dai giovani, che però ricordano più quelli di Gabriele Rossetti e dei Preraffaelliti, anche per la stilizzata corrispondenza al paesaggio, che quelli dei Toscani del ‘300.

 

Sottolineando questi aspetti, non intendo affermare che siano difetti del film, ma semplicemente indicarne chiaramente i criteri di realizzazione che non rispondono allo scrupolo filologico (non presente neppure in Pasolini, d’altra parte!) di chi intende ricostruire con precisione lo scorcio di un’epoca, ma rispondono piuttosto al gusto e alla cultura dei due autori, da sempre molto attenti alla densità del colore, alle suggestioni visive, alle corrispondenze musicali.

 

Il difetto più grave del film, invece, è nella qualità non proprio eccelsa della recitazione di molti attori, dei quali pochi si salvano: sono quasi tutti impacciati e poco espressivi, ciò che diminuisce di molto il piacere di chi lo guarda.

 

Peccato!

 

 


———–

*costituiva la prima parte della Trilogia della vita, seguita nel 1972 dai Racconti di Cantebury e conclusa nel 1974 con Il fiore delle Mille e una notte

**in Pasolini erano dieci; l’insieme del film conteneva, tuttavia, numerosi riferimenti ad altre novelle.

 

 

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