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Non sposate le mie figlie!

Regia di Philippe de Chauveron vedi scheda film

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La recensione su Non sposate le mie figlie!

di Leo Maltin
4 stelle

La nuova commedia francese aggiunge un altro tassello alla sua filmografia: questa volta l’argomento è il matrimonio interrazziale. Ci sta un cinese, un ebreo e un arabo, ognuno dei quali ha sposato una donna francese: le mogli sono tre figlie della stessa coppia cattolica e borghese. Anche una quarta sorella annuncia le prossime nozze: i genitori, che hanno già dato prova di una certa apertura mentale, si convincono che questa volta la cerimonia sarà di stampo tradizionale; fino a quando non si troveranno davanti un nero.

Su un pretesto da vecchia barzelletta, dopo un inizio promettente si assiste a una prevedibile e innocua girandola di situazioni. Il ritmo frenetico e la proverbiale “matematica” dell’effetto comico – che ci si aspetterebbe dal genere – lasciano il posto a un lento passo da film-tv e alla fiacchezza narrativa di una povera geometria della risata, ottenuta spremendo gli stereotipi sulle varie razze, con battute che suscitano qualche ilarità (a patto che si conoscano gli usi e costumi rappresentati dai quattro uomini non europei) o un senso di imbarazzo perché già fin troppo sentite. L’idea dello sposalizio misto, da Il mio grosso grasso matrimonio greco all’americano Guess Who (remake a parti invertite dell’indimenticabile Indovina chi viene a cena?), poteva risultare divertente con un copione più accurato: le mogli hanno in realtà poco spazio, specie nella seconda metà del film, dominata quasi esclusivamente dalla presenza dei due futuri consuoceri; altri personaggi secondari dal sufficiente potenziale comico vengono presto trascurati (persino l’immancabile cane di famiglia, protagonista di un gag “cimiteriale”, unico momento veramente spassoso del film).

Il colmo viene raggiunto quando si vede il prossimo quarto marito, attore teatrale, partecipare a un testo di Feydeau, sommo genio comico francese (secondo solo a Molière): l’opera si intitola Le dindon, Il tacchino. Proprio come si sente il malcapitato spettatore a guardare tale film.

Se ne teme una versione italiana (come già accaduto per Giù al Nord).

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