Regia di Michael Cuesta vedi scheda film
Storia e tematiche analoghe, ma approcci diametralmente opposti. Se Mann poneva la vicenda biografica di Jeffrey Wigand al servizio d'uno stilismo enfatico e autoreferenziale, quindi fuorviante/divagante rispetto al significato intrinseco degl'eventi narrati; Cuesta, invece, opera per sottrazione, conferendo il giusto e meritorio risalto alla testimonianza lasciataci da Gary Webb. “La regola del gioco” non presenta tracce di magniloquenza autorale né di roboanti amplificazioni: regia e soggetto procedono all'unisono, dando luogo ad una struttura diegetica essenziale che trova il suo picco nei filmati di repertorio e nelle didascalie conclusive. E non sarebbe potuto essere altrimenti data la portata della terribile esperienza vissuta dal giornalista americano: un uomo, il cui profondo desiderio di ricerca della verità non gl'ha procurato i dovuti onori né il sostegno della stampa, sempre più collusa col Potere, bensì l'abbandono da parte di colleghi e persone care, condannandolo ad una mesta solitudine e a terminare i suoi giorni, ormai depresso e sommerso dai debiti, con l'estremo atto del suicidio(?). “La verità non ti rende libero, ma solo disoccupato” (Lok Lau).
Prodotto dallo stesso protagonista Jeremy Renner, artefice d'un'encomiabile interpretazione, ad oggi il film ha incassato meno di quanto investito. Male, molto male.
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