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La gente che sta bene

Regia di Francesco Patierno vedi scheda film

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La recensione su La gente che sta bene

di FilmTv Rivista
6 stelle

«Siamo la gente che sta bene». Umberto Maria Dorloni è un avvocato, una «Ferrari» in carriera, a Milano. È arrivato. Lo intervistano in tv, lo invitano a feste esclusive. Sua moglie si dedica alla famiglia. I figli sono iscritti alle scuole paritarie cattoliche. Non ha nessun problema. Antropologicamente, è il «nuovo uomo italiano» da 20 anni a questa parte. L’uomo forgiato dai miti della televisione privata, l’homo berlusconianus che non vuole serbare memoria, nemmeno del nome degli altri, l’attore da commedia immanente, uno per cui tutto, in ogni contesto, è riducibile a spettacolo di bassa varietà, a retorica superficiale, a mera boutade populista. Perché l’italiano che vince non sa cosa sia la tragedia, conosce solo il teatro dell’arte. Sciorina brillantemente vacue formule a effetto, sdrammatizza. Sempre e comunque. Il pathos è espulso, in favore del bathos (la sua rottura grottesca). Anche quando rovina la vita di qualcuno, quando licenzia un uomo con un mutuo, Dorloni sembra sul palco di Zelig: fa battute fuori luogo, cerca una captatio benevolentiae usa e getta, si autoassolve sistematicamente. Quando al protagonista del libro di Federico?Baccomo chiedono chi lo potrebbe interpretare, Umberto risponde: «Claudio Bisio». E allora in La gente che sta bene Patierno chiama Bisio a sporcarsi in un ruolo critico e autocritico. E mette alla prova questa tendenza sociologica, questa mostruosità filosofica, questa ottusa e ostinata politica del comico. Dorloni perde il lavoro, perde il conforto della famiglia, è tradito e tradisce, sprofonda nell’abisso. Subisce un trauma, considera, per la prima volta, non economicamente, il capitale umano. Cambia. Si sottrae alla gente che sta bene. Ma non alla politica del comico. Che è anche quello a cui è condannato il cinema italiano: Patierno cita sfacciatamente le migliori serie americane (la scena con Buccirosso, per esempio, adatta i dialoghi di Louie tra Louis C.K. e Ricky Gervais), ma anche se nel finale Dorloni sembra il Walter White di Breaking Bad, Claudio Bisio rimane Claudio Bisio. Un comico, in un happy end coatto, costretto ancora a eludere la tragedia, a rinviare come sempre la condanna all’infinito, proponendo al protagonista uno scacco di comodo. E certificando, ancora, che in Italia, da questa commedia, è impossibile uscire.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 4 del 2014

Autore: Giulio Sangiorgio

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