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Grand Central

Regia di Rebecca Zlotowski vedi scheda film

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La recensione su Grand Central

di alan smithee
6 stelle

La Centrale del titolo è un reattore nucleare, uno dei tanti che occupano il territorio francese, alcuni dei quali a poche centinaia di chilometri dalla nostra frontiera. Maestose e tozze torri dall'aspetto inespugnabile, in grado di cambiare l'atmosfera di un paesaggio fino a poco tempo prima bucolico e quasi da fiaba, tramutato prepotentemente in una spettrale concentrazione di cemento che si staglia e distingue da quello che resta della verde campagna circostante. Nel grande impianto arriva in treno un ragazzo apparentemente solo al mondo, sveglio e sicuro di sé, strafottente e facile a venire alle mani, desideroso di essere assunto e per questo disposto senza troppi problemi a farsi inserire nel nucleo specializzato nel controllo e pulizia del reparto centrale; quello che conserva il nucleo radioattivo più temibile per la salute umana: incolore, inodore, invisible alla vista, queste sono le caratteristiche diaboliche della sostanza nucleare, in grado di annientarti con radiazioni micidiali senza che ci si possa accorgere di nulla. Nonostante il carattere da capobranco, dopo aver assalito alla gola i contendenti per far vedere chi conta veramente, Gary si introduce anche privatamente nella vita sociale del gruppo di compagni di lavoro intrecciando amicizie cameratesche e virili. Fino almeno quando conosce l'avvenente giovane sposa del suo compagno di lavoro, la bionda e carnale Karol, di cui ovviamente si innamora alla follia, ricambiato pressoché immediatamente dalla conturbante femmina. Amori proibiti e radiazioni mortali: questo è lo stretto e tortuoso binario in cui si avventura lo spavaldo e sin troppo sicuro di sé giovanotto, che, incurante degli avvertimenti, accumula pure un livello di radiazioni ben oltre la soglia e rende sempre più palese l'attrazione (più volte consumata) verso la giovane casalinga irrequieta. L'opera seconda della francese Rebecca Zlotowski, presentata all'ultimo Festival di Cannes nella sezione "Un Certain regard", è un film riuscito più che altro per l'azzeccata scelta di due interpreti belli e sensuali che danno vita ad una coppia maledetta perfetta: Tahar Rahim e Léa Seydoux, ovvero i due attori più caldi, belli ed apprezzati dal cinema d'autore del panorama cinematografico europeo attuale. Insieme danno vita ad una scintilla erotica che funziona alla perfezione ed incendia lo schermo, almeno come illustri precedenti che risalgono agli anni '80 e tra i quali non posso non citare la coppia formata da Kathleen Turner e William Hurt in "Brivido Caldo", o Mickey Rourke e Kim Basinger in "9 settimane e mezzo". Tuttavia qui, in perfetta aderenza (e coerenza) con questa infinita epoca di crisi economica ben diversa da quegli stolti anni di "bengodi", la coppia in questione è stata scelta appartenere allo strato più popolare della scala gerarchica sociale: non più professionisti o operatori di borsa, ricche mogli annoiate o galleriste insoddisfatte, bensì casalinghe e operai, inquieti entrambi ed incattiviti anche forse per la consapevolezza che riuscire a trovare un riscatto sociale e materiale è ormai pressoché impossibile, ed è forse più semplice trovare l'emozione e il piacere nella trasgressione sessuale. Aspettando la Seydoux con fremente attesa per "La vie d'Adele" di Kechiche, Palma d'Oro sempre allo stesso festival, ci gustiamo questo valido piccolo antipasto, più bello a vedersi che buono, ma utile a stuzzicarci durante l'attesa.

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