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Lo sguardo di Satana - Carrie

Regia di Kimberly Peirce vedi scheda film

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La recensione su Lo sguardo di Satana - Carrie

di scapigliato
6 stelle

Nel 1976 Brian De Palma trasportava sullo schermo l’omonimo romanzo di Stephen King del 1974 tra angoscianti nenie adolescenziali, una messa in scena di modernariato gotico, l’orrore della religione, pruderie sessuali rappresentate come lascive castrazioni prepuberali e un taglio pop autoriale e autorevole con un linguaggio a tratti antinaturalistico dai colori e dalle geometrie estranianti. Il tutto per rendere al meglio il travaglio fisico e percettivo di una adolescente divisa tra un’America puritana e un’America più sfacciata e fuori controllo in un’epoca, i seventies, in cui se da un lato non si era ancora esaurita la vena ribelle e dissacratoria dei valori morali che fanno un Paese, dall’altro già si iniziavano i primi bilanci sull’esperienza del ’68 e dei sogni infranti. Il risultato fu un capolavoro di sintesi estetica, efficace quanto perturbante.

La versione di Carrie – Lo Sguardo di Satana aggiornata alla online generation e a tutte le insipide conseguenze di una vita passata a cercare la miglior immagine si sé attraverso la liquidità della società contemporanea, poteva essere una delle rare occasioni per sconfessare il mito che il remake di un capolavoro horror è per forza un fallimento – ci hanno abituato così in tanti, da Rob Zombie a Wainwright, si salva solo Aja. Inoltre, il nome di Kimberly Peirce poteva essere una garanzia, ma nulla si può contro la miopia delle grandi produzioni hollywoodiane che vincolano grandi storie e grandi artisti agli umori dell’incasso. Così anche la regista indipendente di Boys Don’t Cry (1999) e Stop-Loss (2008) fallisce il tentativo di rileggere, aggiornare e ricreare il capolavoro depalmiano.

L’incipit del film originale presentava in ralenti l’interno di uno spogliatoio femminile nel momento delle docce con abbondanti nudi integrali chiari e non schermati da trucchetti di bassa lega, con una Sissy Spacek che si tocca con la saponetta durante la doccia per poi ritrovarsi sporca di sangue mestruale. Liquidità su liquidità. Con Peirce invece nessun corpo femminile si presenta nudo, tutto è coperto, castrato, disciplinato, anche la celebre inquadratura della Spacek. Poco importa se la Moretz fosse quindicenne all’epoca delle riprese – bastava scegliere un’altra attrice – perché con una scelta del genere si snaturalizza l’intera storia mettendo a rischio tutto  il contenuto a venire.

E difatti così sarà. Se tralasciamo la profondità di Julianne Moore che crea un personaggio con più sfumature, che vanno dalla fanatica cristiana alla donna autolesionista fino alla madre che prova tenerezza per la figlia, senza eguagliare però l’inquietante Piper Laurie, il film della Peirce si allontana dalla perturbazione dell’originale confezionando un prodotto di tutto rispetto, che non sa però farsi portatore sano di un immaginario oscuro capace di sintetizzare il malessere di un’intera generazione.

Il teendrama di derivazione Hardwicke è dietro l’angolo. Patinato e castrato, tutto ciò che attribuisce perturbazione alla vacuità della generazione costantemente online, dal sesso alla violenza, dall’arroganza al teen-power – “abuso di minore” è la prima cosa che viene in mente alla stronza di turno per scavallarsi le proprie responsabilità, quando noi una volta non vedevamo l’ora di essere maggiorenni – tutto questo viene disciplinato dal pudico tentativo di normalizzare l’eccezionale e snaturare la naturalezza degli impulsi carnali. Non c’è una scena di nudo che sia una, nemmeno per sbaglio, e inoltre nella scena della copula tra Sue e Tommy Ross in macchina dove nessuno li vede, nudi uno sopra l’altra, troviamo un plaid inutile a coprire il culo di lui. Tecnicamente non ha senso. Figuriamoci chiamare in causa la verosimiglianza. Tutto è disciplinato senza motivo, cercando di arrivare il prima possibile al famoso massacro della festa di ballo con un divertente furoreggiare di poteri telecinesici che però appiattiscono tutte le aspettative orrorifiche di un mito risaputo.

Sissy Spacek sotto la doccia è impagabile, mi spiace per la Moretz. Per non parlare del suo viso quando la lordano di sangue di maiale. I suoi occhi sbarrati sono l’orrore puro. E questo nel 1976.

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