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Effetti collaterali

Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film

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La recensione su Effetti collaterali

di FilmTv Rivista
8 stelle

L’implosione emotiva, che da sempre caratterizza la rappresentazione soderberghiana, ultimamente ha trovato il territorio di declinazione simbolica ideale. Nell’universo farmaceutico la messa in scena asettica e l’esattezza geometrica delle inquadrature del regista trovano un habitat naturale, coerente. Dopo le prove generali di Contagion, ecco il vero ingresso nella cristallizzazione del medical thriller, dove l’empatia con i personaggi raggiunge il grado zero e alla presa di distanza dai sentimenti corrispondono la glaciazione fotografica e la scansione distaccata di un editing mai partecipe. Non a caso, è sempre l’iperattivo Soderbergh (più di un titolo all’anno) a firmare fotografia e montaggio, firmandosi al solito con il nome dei genitori come a rinsaldare un legame di sangue con i due ruoli chiave del suo rigore estetico. Dentro e fuori dall’ospedale Bellevue di New York si muovono Emily e il dottor Banks, personaggi spogli e sempre a debita distanza dallo spettatore. Le loro esistenze si scontrano sotto il segno dell’Ablixa, psicofarmaco sintetizzato dal dottore e prescritto a Emily dopo che questa è sprofondata in un vortice depressivo, a seguito dell’uscita di galera del marito dopo quattro anni. Seguono coltellate mortali inflitte dalla donna al ritrovato coniuge. Senso di colpa e follia. Esattezze cliniche e scarti irrazionali. Trame gialle e occlusioni procedurali. Soprattutto, la messa a tema della responsabilità: chi è il vero colpevole dell’omicidio? La donna che ha perso il senno oppure lo psicanalista arrivista? Emily o Ablixa? E cosa nascondono i riflessi della donna su specchi deformanti, ma rigorosamente lucidi e asettici? Cinema del mascheramento, sentimentale e identitario, Effetti collaterali non è quel che sembra, grazie a una hitchcockiana abilità nel ribaltare i punti di vista in corso di racconto, a numerose deviazioni di genere e a quei primi piani sui medicinali descritti «come un veleno che entra nella mia mente e mi paralizza». Arte della paralisi e dell’analisi, dunque, capace di superare le sue ingenuità (lo smaccato omaggio iniziale a Psyco) e di riempire i propri vuoti ritmici con silenzi rumorosi e incessanti dialoghi silenti. Il regista trattiene ogni slancio, suo e degli attori, regalando alla Mara un grande ruolo in sottorecitazione, a Law il consueto personaggio sul crinale tra bene fiduciario e presunzione di reato, alla Zeta-Jones l’intera posta (omo)erotica in gioco. Effetti collaterali di un formalismo che, in Soderbergh, non era mai stato così maturo.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 18 del 2013

Autore: Claudio Bartolini

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