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Redemption - Identità nascoste

Regia di Steven Knight vedi scheda film

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La recensione su Redemption - Identità nascoste

di logos
7 stelle

Sia in Locke, che in questo film, Knight gioca con le riprese in cui il protagonista viene colto da tutte le angolazioni, proprio per mettere in evidenza che Joey (Jason Statham) è sostanzialmente un fuorilegge, che non può sfuggire alla società del controllo, che lo tiene d’occhio con le sue flycam e i circuiti chiusi nei quartieri degradati di Londra.

Ne emerge una Londra notturna e tenebrosa, in cui brulica la disperazione dei poveri invisibili ma anche la sopraffazione dei gangster, e dove una suora-angelo, Cristina, cerca di ridurre il danno sociale, proveniente a cascata dai vertici dell’alta borghesia finanziaria (con i suoi vizi), attraverso la conduzione di una mensa per attrarre a sé diseredati, affinché si crei una comunità di bisognosi, ma cementati, per quanto possibile, dalla pietas cristiana.

 

In tutto questo mondo tentacolare, in cui si aggira lo spaccio, la prostituzione e il suo sfruttamento e il mercato dei clandestini, vive nell'ombra anche il nostro eroe Joey, che non può riprendersi la propria esistenza alla luce del sole pena l’arresto e il carcere, essendo evaso da un manicomio militare per aver compiuto atti criminali nella guerra in Afghanistan, vale a dire omicidi ingiustificati sui civili inermi, dopo che un commando nemico aveva colpito il suo blindato uccidendo i propri compagni.

 

Già da queste premesse si può comprendere la complessità dell’esistenza di Joey: è diventato un prodotto bellico di scarto, una macchina violenta, pieno di sensi di colpa, per di più costretto a vivere nei bassi fondi per non essere scoperto, impossibilitato a prendere contatti con sua moglie e la sua bambina a causa del monitoraggio della polizia, con incubi e allucinazioni ricorrenti, ma con la consolazione di stringere un rapporto con una donna, Isabel, prostituta e sua migliore amica.

 

Dopo il pestaggio da parte di due malviventi in cerca di soldi e droga, che si portano via Isabel, Joey, per scampare dall’aggressione, da cui non è in grado di difendersi perché continuamente ubriaco per ottenebrare i suo ricordi bellici e i suoi impulsi distruttivi, riesce a trovare riparo in una casa lussuosa. Dalla visione dei documenti e dei messaggi lasciati in segreteria, Joey scopre che la casa appartiene a un uomo d’affari che non tornerà fino a ottobre, perciò ha quasi un anno per vivere in quella casa, assumere un’identità fittizia e cercare la sua cara amica Isabel. Intanto lavora come lavapiatti, ma notato per la sua particolare agilità nel difendere il locale, un luogotenente del boss mafioso lo ingaggia come autista, guardia del corpo ed estortore. Nel giro di pochi mesi diventa ricco, lascia 500 sterline a suor Cristina per le sue opere di bene e invia pasti caldi ai diseredati.

Tra Joey e suor Cristina si crea un rapporto complesso, perché si tratta di due animi che in fondo condividono un passato fatto di oscure violenze. Questa sintonia si accentua ancor più quando Cristina viene a sapere dalla polizia che Isabel è stata trovata morta in un fiume, perché a questo punto Joey le chiede di riferire alla polizia tutti i dettagli che verrà a sapere circa la scomparsa di Isabel. Infatti, egli sa bene che è stata rapita dai due malviventi che lo hanno calpestato a sangue, e ritornando sul luogo riesce a ottenere l’identikit dell’assassino, un uomo della city, dunque un benestante, di trent’anni, con una ferita sopra l’occhio destro. Ma suor Cristina con questi riferimenti vaghi non ottiene risposte adeguate dalla polizia, che di fatto non intende indagare su una prostituta tossicomane uccisa andando a scomodare i piani alti. A questo punto Joey si fa dare il nome dallo stesso boss mafioso cinese (una donna) ma in cambio gli chiede di far entrare con un camion un centinaio di clandestini cinesi a Londra.

Fin qui la trama si svolge in modo abbastanza classico, gli ingredienti essenziali sono il torto subito e la vendetta. Ma intorno a questa trama si innesta tutta una colorazione di tematiche interessanti.

Joey è un criminale di guerra, ma al tempo stesso il prodotto di un conflitto bellico invisibile per chi vive nella parte ricca del pianeta. Non vi sono più le guerre di popolo, ma una guerra globale contro il terrorismo, e chi vi partecipa come “volontario” non svolge tanto un servizio alla nazione, ma lo fa soprattutto per avere un ritorno economico per restare a galla. E Joey rappresenta proprio il lato sporco di questa guerra, sia perché ne ha interiorizzato la violenza sia perché questa violenza lo distrugge nella sua lucidità, che pertanto deve tener a freno con l’alcool, ottenebrando la sua mente e dandola in pasto a nuova violenza e deliri.

In più non è una figura né buona né cattiva, fa quello che può per restare nell’anonimato, per creare meno danno possibile, ma siccome in questo anonimato si trova all’incrocio di rivalità e violenze, naturalmente reagisce come meglio sa, con la violenza. Sennonché vi è in lui anche la potenzialità di riscattarsi; non a caso con i soldi che riesce a ottenere con l’estorsione non solo alza il livello della mensa per i poveri, ma lascia tutto quel che ha alla sua famiglia, che stenta ad arrivare alla fine del mese.

Ci troviamo dunque di fronte a un film che è decisamente contro la guerra, che evidenzia come la cattiveria e la criminalità dipendano da condizioni degradanti, dove i ricchi sono sempre più ricchi, dove non c’è possibilità di riscatto per i diseredati che diventano sempre più invisibili, e possono sopravvivere soltanto attraverso la violenza, il ricatto e la minaccia. Poi, sempre in questa trama, c’è tutto un filone sentimentale intelligente che riguarda il rapporto tra suora Cristina e lo stesso Joey. Chi è suor Cristina? Rappresenta il bene mentre Joey il male da redimere? Non è così, perché entrambi sono esistenze spezzate, dai sogni infranti. Anche Cristina, come ho accennato, ha il suo lato oscuro, fin dall’infanzia voleva diventare una ballerina, ma dovette seguire la ginnastica per volere di suo padre, fatto sta che il suo istruttore era un pedofilo, e già all’età di 10 anni iniziò ad approfittare di lei, finché un giorno, distrutta dall’abuso, prese un coltello e gli tagliò la gola. Non andò in prigione, ma in un convento, da cui divenne suora, con una fede nella quale fuggire dagli uomini, ma che è al tempo stesso un’autopunizione. Si ha così un rapporto di empatia tra Cristina e Joey, perché entrambi si portano dietro i loro macigni interiori, e l’una cerca il riscatto nella fede e l’altro nella fuga, ma sia la fede che la fuga non sono un reale emancipazione, ma uno scacco alla loro esistenza. La loro attrazione culmina in un rapporto d’amore, ma non può continuare, perché Joey, dopo aver risolto la sua vendetta e sistemato economicamente la sua famiglia, dovrà continuare a fuggire nelle vie di Londra, mentre suor Cristina, per dimenticare le sue follie con Joey, se andrà in Africa come missionaria.

Abbiamo così due esistenze che si incontrano, si innamorano e si amano, ma non possono esprimersi fino in fondo, non possono riscattarsi dalla loro identità nascosta, in una città, che invece, inesorabile, prosegue la sua distruzione attraverso il controllo della base sociale, per tenere liberi i signori, che mantengono il loro dominio a spese delle vite altrui, delle vite invisibili.

La sceneggiatura e la regia è impeccabile, forse è stata sottovalutata, e invece credo che sia da considerare, soprattutto per lo stile, le sequenze e i tipi di ripresa. Lo stile non è lineare, è abbastanza sovrapposto, con sbalzi temporali, e nelle sequenze la realtà si mescola alle allucinazioni in maniera fine, ma il tutto è ben ancorato a una visione vivida della Londra notturna ripresa da più angolazione, con l’accentuazione delle camere di controllo a circuito chiuso, che sottolineano la dimensione post-moderna e la stratificazione sociale sempre più rigida del capitale flessibile. Viene inoltre demistificato il senso retorico del riscatto, della svolta; le persone sono quello che sono, ma proprio per questo sono capaci di grandi cose, senza tanto rumore esterno, ma come un qualcosa che accade nell’intimo, e solo lentamente prende forma, a prescindere dal buon esito, che anzi resta marginale, perchè quel conta è il barlume di coscienza, checché ne siano le conseguenze...

Jason Statham è versatile nell’interpretare una personalità gelida, violenta ma che al tempo stesso sa scorgere il senso di vuoto dentro di sé, soffermandosi nella riflessone che lo apre al sentimento autentico; così Agata Buzek, che nel suo personaggio è in grado di mettere insieme i duo volti, quello ascetico della fede e quello della passione per la vita.

Un’opera dunque a mio avviso originale, anche se non manca quel tocco di enfasi nelle azioni che la rendono per certi versi legata al tradizionale film d’azione. Ma ci sono tutte le potenzialità per qualcos’altro, che potrà dare frutti inaspetati.

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