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Picnic ad Hanging Rock

Regia di Peter Weir vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Picnic ad Hanging Rock

di laulilla
9 stelle

In Australia il 14 febbraio cade in piena estate e fa molto caldo, soprattutto nella zona sud orientale del Victoria, lo stato che ricorda con questo nome la sovrana inglese, ancora regnante all’epoca dei fatti raccontati nel film, che prendono l’avvio il giorno di San Valentino del 1900.

 

 

Un collegio femminile nel Victoria

 

Le giovani ragazze da marito, studentesse dell’Appleyard College, speravano di uscire da quella scuola, almeno in quel giorno speciale, consacrato all’amore e a Cupido, il suo dio che si era già manifestato al loro risveglio, quando, con la testa piena di sogni, avevano letto e commentato i bigliettini profumati, le letterine e le poesie che qualcuno aveva loro indirizzato.


Mrs Appleyard (Rachel Roberts), la direttrice inglese, cercava di convincerle ad accettare i comportamenti che la società vittoriana pretendeva dalle donne “per bene” di tutte le età, gli pseudo-valori della pruderie, del bon ton e del senso comune, che rassicuravano le famiglie dei coloni inglesi che gliele avevano affidate, contando sulla “saggezza” di cui dava prova scaltramente alternando blandizie e punizioni, strumenti di consenso e di altre redditizie iscrizioni.
Mai, dunque, avrebbe permesso alla piccola Sara (Margaret Nelson), triste orfanella australiana, lontana dal suo tutore legale, di partecipare al picnic quel 14 febbraio, essendo  Hanging Rock una meta troppo pericolosa per un’adolescente senza riferimenti educativi, persa nell’ammirazione della bellissima e gentile Miranda (Anne Lambert).


Le sue raccomandazioni, prima della partenza delle studentesse, erano state un capolavoro di perfetta organizzazione: le insegnanti Greta McCrow (Vivean Gray) e Mademoiselle de Poitier (Helen Morse) avrebbero dovuto vigilare; le ragazze avrebbero dimostrato, per iscritto, l’utilità della loro esperienza e, intanto, avrebbero obbedito, indossando i guanti fino all’attraversamento dell’ultimo centro abitato; Tom (Anthony Llewellyn-Jones) il cocchiere, avrebbe dovuto ricordare, imperativamente, l’orario del rientro, fissato per le otto di sera.
Nessuno, sul posto, inoltre, avrebbe dovuto avvicinarsi ad Hanging Rock, conformazione rocciosa di origine vulcanica infestata da insetti e serpenti velenosi e molto insidiosa per gli anfratti oscuri che nascondevano, nelle loro profondità abissali, veri tranelli per i visitatori incauti.

 

 

Dopo la presentazione dettagliata dei personaggi, dei rapporti fra loro e con il milieu dell’epoca vittoriana, il regista imprime al film una svolta narrativa: il viaggio e l’avvicinarsi all’Outback australiano, dominato dal tabù di Hanging Rock, preparano l’incontro con un mondo diverso, quello della natura selvaggia e sconosciuta, anche se oscuramente avvertita dalle giovinette, che ora, finalmente disinibite, cominciavano a guardarsi intorno, ascoltando con ironia Miss Greta, l’insegnante di matematica, impegnata a illustrare a Tom la natura e l’età della roccia, emersa dalle viscere della terra milioni di anni prima, mantenendo intatto il proprio segreto. 

Il tempo scandito dall’esattissimo orologio del College, o da quelli più tecnologici da taschino, mostrava la sua irrilevanza, di fronte all’inquietante evocazione dell’eternità di quell’ammasso di lava cristallizzata…

 

Forse non per caso, dunque, a mezzogiorno si erano fermati gli orologi di Tom e di Greta e il tempo era diventato inconoscibile, allentando perciò stesso la preoccupazione di rispettare l’ora del rientro. 

Miranda, seguita dalle sue compagne Marion (Jane Vallis), Irma  (Karen Robson) ed Edith (Christine Schuler), si stava avventurando per esplorare da vicino la temibile rocca, liberandosi, come le altre, degli stivaletti e delle calze che impedivano il contatto sensoriale col terreno.

 

Le prime tre ragazze erano state notate salire intorno al monte maledetto dal giovane Albert (John Jarrett) il domestico australiano che aveva, come ogni giorno, accompagnato i coniugi scozzesi Fitzhubert ai quali, quel mattino, si era unito il nipote di lei Michael ( Dominic Guard).
L’orologio di Albert, come quello di Michael, aveva cessato di funzionare a mezzogiorno: strana coincidenza davvero!


Sospensione del tempo, clima di attesa… eventi straordinari si stavano verificando: Albert e Michael ora notavano il ritorno precipitoso di Edith, fuori di sé, che aveva visto, da lontano, Greta scalza e priva della sua solita gonna mentre saliva verso la montagna crudele mostrando l’orrore inverecondo dei suoi mutandoni alla caviglia.

 

Né lei, né le tre belle collegiali erano ritornate. Irma, però, sarebbe stata ritrovata dopo una settimana da Albert, attivatosi su insistenza di Michael, a sua volta partito per la loro ricerca e salvato in extremis mentre stava per essere inghiottito anche lui dal fascino inquietante di Hanging Rock.

 

Nè Irma né Michael, però, erano stati in grado di ricordare alcunché della loro avventura: interrogati più volte dalla polizia locale non fornirono notizie utili a spiegare il mistero. Edith e Irma, sottoposte a visita ginecologica, furono trovate “intatte”, ciò che avrebbe dovuto rassicurare le famiglie, che invece non rinnovarono l’iscrizione delle figlie alla scuola di Mrs. Applefield, determinando la tragica rovina dell’istituto e la fine misteriosa della sua proprietaria e della piccola Sara.

 

 

 

 

Il regista Peter Weir ha dichiarato, a più riprese, di essersi liberamente ispirato al romanzo*– di invenzione – della scrittrice australiana Joan Lindsay (1896 – 1984) di cui aveva mantenuto il titolo, deliberatamente evitandone le pur possibil iinterpretazioni storiche, politiche, sociologiche o psico-antropologiche, preferendo renderne l’atmosfera attraverso il linguaggio suggestivo delle immagini e della musica.

Scelta a mio avviso molto felice poiché, oltre alle fittissime corrispondenze simboliche e analogiche, due aspetti colpiscono chi guarda il film, il primo dei quali, visivo: la pellicola deve il suo memorabile incanto alla straordinaria fotografia di Russell Boyd, sia quando indugia sul  bush australiano nei diversi momenti della giornata, sia quando, con colorato realismo, ci restituisce l’arcana bellezza degli esseri viventi che organizzano, in quei luoghi selvaggi, la propria sopravvivenza. È lo stesso fotografo che, in altri momenti del film, descrive con suggestivi tratti il progressivo incupirsi dell’atmosfera nell’Applefield College, mentre ll volto della sua proprietaria, coperto infine dalla veletta nera, diventa la  grottesca maschera di una sconfitta esistenziale. 

All’eleganza della fotografia di Boyd dobbiamo anche i ritratti delle bianchissime fanciulle in fiore del College e della botticelliana Miranda, immagine struggente della primavera che se ne va, in quel magico San Valentino nella terra di Hanging Rock, “tempo e luogo dove qualsiasi cosa ha principio e fine“.

 

La colonna sonora dell’australiano Bruce Smeaton, è assai complessa, poiché il compositore e affianca e fonde con equilibrio le proprie musiche originali con quelle del Flauto di Pan del rumeno Gheorge Zamfir, evocative di atmosfere mitologiche che suggeriscono, in ogni parte del film, l’opposizione fra l’eternità della natura e la caducità della civiltà umana che nell’angustia dello spazio storico appronta le sue provvisorie difese, esprimendo attraverso la musica classica, da J.S. Bach a Mozart, da Beethoven a Tchaikovskij, il sentimento nostalgico per il “paradiso perduto” delle favole antiche e dei miti che non possono rivivere.

 

Il film uscì ad Adelaide l’8 agosto 1975, dopo un tournage molto travagliato, e dopo il disconoscimento da parte del regista dell’ultima parte del film.
L’edizione Director Cut,  a cui si riferisce la recensione, è contenuta nel DVD, non recentissimo, in mio possesso.

 

 

* pubblicato in Australia nel 1967; edito in Italia da Sellerio nel 1983.

 

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