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Il sospetto

Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film

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La recensione su Il sospetto

di giancarlo visitilli
8 stelle

I bambini non sono “la voce dell’innocenza”, lo “specchio della verità”. Almeno, non lo sono sempre. Può bastare una loro fantasia per rendere infernale la vita di un uomo. Così come avviene per un maestro di asilo, Lucas, in un piccolo paese della Danimarca. Infatti, quando la bambina del suo miglior amico racconta una bugia, Lucas diventa la vittima di una caccia alle streghe di cui è la preda.

A Il sospetto manca poco per non essere un capolavoro, perché in parte lo é. Si tratta di un film sulla fiducia fra le persone, diretto magistralmente da Thomas Vinterberg. Liberamente ispirato da una storia vera, si basa su una serie di documenti raccolti da uno psicologo, che nel 1999 li consegnò a Vinterberg. Una storia inquietante, quasi un horror, in cui il protagonista principale della vicenda, il sospetto, si insinua, come un virus, nella piccola comunità dove vive e lavora Lucas. E noi, come spettatori, si diventa impotenti, frustrati come il protagonista. Ci si immedesima, tanto da contorcersi e subire ogni sorta di dolore lancinante, fino all’espressione più crudele, una sorta di vero odio/antipatia nei confronti di una creatura, che in realtà è semplicemente una bambina con tutte le caratteristiche di quelle della sua età. Fantastica, racconta le sue fantasie, che diventano sogni, incubi, ma che potrebbero diventare storie vere. Perché i bambini con la fantasia creano mondi, in cui non ci sono solo i paradisi. E così, per una sua stessa fantasia, vediamo Lucas appiccare nel rogo delle fiamme infernali di un intero paese. In ogni comunità, grande o piccola che sia, quando il dubbio si insinua, non lo si estirpa facilmente. Non sarà un caso se il finale della pellicola mostra l’imponente forza brutale che un sospetto può causare.

Thomas Vinterberg, uno degli esponenti danesi, insieme a Lars Von Trier, con cui nel 1995 firmò il manifesto Dogma 95, da subito riesce a fare immedesimare lo spettatore con il suo protagonista, interpretato da un eccellente Mads Mikkelsen, giustamente premiato come Miglior Attore alla 65° edizione del Festival di Cannes. Dopo circa quindici minuti iniziali del film, si comicnia una sorta di vero e proprio conto alla rovescia per ristabilire il tempo dell’innocenza, che non ha età. Ci si chiede subito se e quando verrà ristabilita la verità. Il bravissimo regista danese riesce a creare un clima dove regna sovrana l’ambiguità sulla presunta innocenza di Lucas. Noi, in sala, si sa che il maestro non ha commesso nulla, eppure il sospetto degli abitanti di quella comunità è talmente insistito che il dubbio s’insinua anche in noi. Continuamente si passa ora dalla parte della vittima e poi del carnefice, quindi del cacciatore ma ben presto ci si sente anche preda. Tutti all’inseguimento dell’innocenza. Lo stesso tema ampiamente sviluppato dallo stesso Hitchcock. Ma in Vintenberg non c’è redenzione, nemmeno la possibilità di assumersi il carico di una colpa assurda come quella di Lucas. E’ lui, quindi, il vero cristo, l’agnello/cervo sacrificale, che nasce e muore, senza risorgere. Non c’è Natale con cui si possa fare i conti. Non c’è bellezza che si possa ricostruire, perché lo stesso sguardo, nonostante una macchina da presa più ferma, rispetto ad altri lavori del maestro danese, è sempre frammentato, sebbene l’accostamento cromatico fra le diverse inquadrature ci fanno addentrare come in un quadro autunnale in cui è facile avvertire il fiato, il freddo e il respiro affannoso e ansioso, causato dal perseguimento della sopravvivenza, ma precipitata nel panico. Nel burrone dei sensi di colpa. Strepitoso l’utilizzo del commento sonoro, quasi sussurrato, appena udibile, perché fomenti, anch’esso, quel che manca perché anche l’aria, la strada, il bosco innestino le loro radici nel profondo silenzio, il vero ceppo di ogni genere di sospetto.

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