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The Iceman

Regia di Ariel Vromen vedi scheda film

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La recensione su The Iceman

di FilmTv Rivista
8 stelle

Ci sono storie in cui le ombre sono più significative delle luci. Ariel Vromen comprende quanto la biografia criminale di Richard Kuklinski - sicario con all’attivo oltre 100 vittime tra gli anni 70 e 80 - abbia dominanti oscure, e adegua la messa in scena iconografica del suo gangster movie ai toni dell’esistenza di un uomo dall’interiorità inafferrabile. Kuklinski, appena dopo avere compiuto il primo omicidio, si allontana di spalle in un vicolo buio, illuminato dalla fioca luce dei lampioni che ne amplificano i contorni. La sua figura è imponente, la prossemica marmorea. L’inquadratura è immobile, la profondità di campo non lascia dubbi: questo è cinema noir, destinato a raccontare un protagonista avviato verso le nebulose della propria esistenza e di una città (Jersey City) la cui topografia è restituita con filologia, attraverso sale da gioco maleodoranti, locali notturni al sangue, cinema a luci rosse in cui chiudere affari e uffici dei boss irrorati dal fumo di sigarette e camere di scoppio. «Hai mani grandi. Sei un boscaiolo?» «No, sono polacco»: Kuklinski uccide per mantenere moglie e figlie, uniche sue ragioni di vita, tenute all’oscuro proprio della gran parte di questa vita. Personaggio minimale nei dialoghi, nei gesti e nella morale nichilista, cerca il paradiso familiare perduto nell’infanzia, scandita dai flashback sulle cinghiate del padre e dall’incontro con un fratello stupratore di minorenni rinnegato dal derivato codice etico, che non contempla l’uccisione di donne e bambini. La sceneggiatura è essenziale e segue verticalmente la gerarchia della malavita, tagliandola obliquamente con la predilezione biografica per Iceman (soprannome dovuto alla prassi di congelare le vittime per occultarne la data del decesso), il cui corpo è sempre al centro della messa in scena. Vromen sa quando impaginare in camera fissa e quando, invece, muovere la macchina da presa per liberarla in inseguimenti e frenesie comunque realistiche. Il linguaggio segue l’andamento emotivo del protagonista, incarnato dal monumentale Shannon con sottorecitata, ma vibrante intensità. Attorno a lui si muovono tough guys (Liotta, Davi), mezze tacche (Franco, Dorff) e laidi scarti dell’umanità (Evans, Schwimmer), per un B movie di genere ragionato e pensante che trova un’autorialità di stampo classico in strade lastricate di morti.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 5 del 2015

Autore: Claudio Bartolini

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