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Viva l'Italia

Regia di Massimiliano Bruno vedi scheda film

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La recensione su Viva l'Italia

di mm40
4 stelle

Cosa succederebbe se cominciassimo di punto in bianco e dire sempre e soltanto la verità? La risposta è quella, banale, che molte pellicole hanno già fornito: in un primo momento è certo che ci faremmo terra bruciata attorno, ma chissà che con il tempo le cose non finiscano per aggiustarsi, nel nome della verità, della giustizia e dell’onestà. Ecco, l’onestà è la vera protagonista mancante di questo film di Bruno, il suo secondo dopo il mediocre Nessuno mi può giudicare, girato l’anno precedente. Manca del tutto o quasi l’onestà di ammettere che l’Italia è ciò che è grazie alla menzogna, al nepotismo, alla sopraffazione, alla violenza (fisica e psicologica), agli inganni del potere e al servilismo; una volta stabilito questo, sì che si potrebbe tranquillamente gridare “Viva l’Italia!”, sarcasticamente si intende, ma con pieno senso logico. Dov’è infatti la logica nel ritrarre questa nazione meschina, miserrima, stracciona e vanitosa, nella quale ciascuno pensa a sè e ai propri parenti innanzitutto e contemporaneamente le istituzioni (la scuola, la sanità, la politica) vanno allo sfascio; dov’è la logica – si diceva – nel raccontare tutto questo e nel sostenere che un’inversione di tendenza ci può essere con un po’ di sforzo da parte di tutti nel segno di quell’onestà di cui sopra, che nel Paese non semplicemente latita, ma è stata giustiziata ancora in fasce, quando lo Stivale si unì quasi per caso, centocinquant’anni prima? Domanda retorica che però svela le sotterranee falle del pur apprezzabile (per la prima parte del discorso, quel mettere a nudo i macroscopici difetti del Paese) film di Bruno; domanda retorica che già di per sè, comunque, lascia intendere che fra Viva l’Italia e le pecorecce vanzinate c’è una distanza abissale. Bruno (che è anche co-sceneggiatore insieme a Edoardo Maria Falcone), più che ai Vanzina o a Neri Parenti o ancora a Moccia o a Pieraccioni/Veronesi, sembra prossimo a Fausto Brizzi, con cui ha d’altronde collaborato a lungo in passato; come per Brizzi, qui e nel suo precedente lavoro Bruno rievoca lo spirito cinico e critico della commedia all’italiana, enucleando i (pochi) pregi e i (tanti) difetti dell’italiano medio, ma preferendo in chiusura virare verso il più spendibile lieto fine. Non male il cast, che vede impegnati fra gli altri Michele Placido, Raoul Bova, Ambra Angiolini, Alessandro Gassman, Sarah Felberbaum, Rocco Papaleo, Maurizio Mattioli, Rolando Ravello, con piccoli ruoli anche per Remo Remotti e Isa Barzizza. Con un briciolo di coraggio in più si poteva realizzare un lavoro – rimanendo sempre in chiave di commedia – puntuale e perfido; come, di preciso? Ad esempio riuscendo a mantenere il film sulle corde della straordinaria scena centrale in cui Placido vaga esterrefatto in pigiama per una Roma in preda ai tumulti popolari, sulle note di Italia di Mino Reitano. 4/10.

Sulla trama

Il senatore Michele Spagnolo, in seguito a un incidente, comincia a dire la più totale e nuda verità in qualsiasi circostanza. Svela quindi di avere un’amante, di avere aiutato clamorosamente i figli a trovare lavoro, di non sopportare il proprio mestiere e i colleghi. Per tutti coloro che gli sono vicini sono guai.

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