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Fear me not

Regia di Kristian Levring vedi scheda film

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La recensione su Fear me not

di mm40
6 stelle

Levring è uno dei primi autori ad avere aderito al manifesto Dogma '95, quello di Vinteberg e Von Trier, con Il re è vivo (2000); nel 2008 ha abbandonato i canoni rigidi e poveri dettati dal manifesto, ma è ancora legato all'idea tutta nordica di un cinema cupo, freddo, crudele nell'intimo, pregno di una quotidianità misantropa. Ecco quindi che Den du frygter (titolo inglese: Fear me not; in Italia mai arrivato per lo meno fino al 2012) è un'opera dalle luci basse e dai colori spenti (fotografia di Jens Schlosser, fra gli altri già con Kragh-Jacobsen e Bier) in cui nell'apparente placido scorrere della trama vive, fuoco sotto la cenere, un sottofondo di inquietudine destinato a esplodere nei minuti finali, in un'escalation di violenza sostanzialmente (quasi) sempre psicologica. E' un cinema in un certo senso anche ideologico, filosoficamente orientato all'annullamento del libero arbitrio umano, ateistico e fatalistico per natura, nel quale l'osservazione dei mali dell'umanità è tanto impietosa quanto rassegnata all'impossibilità della guarigione di essi; non è pertanto un caso se la sceneggiatura è firmata dal regista insieme ad Anders Thomas Jensen (Le mele di Adamo). Proprio in quest'ultimo film,  così come in Festen di Vinterberg (Dogma #1), si erano già incontrati il protagonista Ulrich Thomsen e Paprika Steen (la seconda moglie), che sono i due volti più noti del cast (e ad ogni modo perfetti nei rispettivi ruoli). La conclusione apertissima lascia un po' di amaro in bocca: il Male che alberga nel profondo di Mikael non sarà mai sconfitto proprio perchè fa parte dell'essere umano, ma nulla ci è dato sapere su ciò che ne sarà di lui concretamente, dopo essersi abbandonato al Male a braccia aperte: ne fuggirà? Perderà il senno definitivamente? O soltanto si abituerà a doverci convivere e combattere? Pare poco, darsi quest'ultima possibilità, per quanto sia la più realistica. 6,5/10.

Sulla trama

Mikael, divorziato con una figlia, una seconda moglie e una ex moglie che lo adorano, non è felice: lo turbano ricordi e pensieri cattivi. Accetta così di collaborare a una ricerca medica assumendo un antidepressivo per un certo periodo. Mikael si sente così sollevato da continuare con lo psicofarmaco anche quando la ricerca viene sospesa: lentamente si trasforma però in un'altra persona.

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