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Un sapore di ruggine e ossa

Regia di Jacques Audiard vedi scheda film

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La recensione su Un sapore di ruggine e ossa

di Kurtisonic
7 stelle

I personaggi dei film di Audiard potrebbero stare dentro i lavori dei Dardenne, lo scenario è lo stesso, l’Europa in crisi di identità, di relazioni, di prospettive. I protagonisti  appartengono a quelle fasce di occupati nel bene e nel male sempre in bilico di finire fra gli esclusi, gli invisibili, dentro e fuori il carcere della solitudine esistenziale. Tutto questo però fa parte di una cornice, di un margine esterno a volte pienamente pro filmico (per esempio nel precedente Il profeta), mentre i personaggi che Audiard ritaglia hanno sempre qualcosa di accattivante, quasi di modaiolo anche nel disagio, che li distingue indelebilmente dalla massa informe della disperazione. Viene quasi il dubbio che il regista li costruisca in modo da farli subito piacere e che lo spettatore sia indotto a prendere le loro parti incondizionatamente dalla storia. Nei precedenti apprezzabili Sulle mie labbra e Tutti i battiti del mio cuore, il risultato è stato eccellente, calibrato con la verosimiglianza delle vicende, misurando l’incontro e il mitigarsi di solitudini opposte, animato da gesti malinconicamente obbligati per cercare una possibilità di sopravvivenza. Rust and bone non si discosta da questa linea, personaggi magnetici insolitamente comuni e allo stesso tempo un po’ fuori dall’ordinario: lui, Alì, fisico massiccio con figlioletto a carico vive di espedienti e si dà al pugilato illegale, lei, Stephanie, insoddisfatta della vita e addestratrice di orche nell’acquario resta gravemente menomata. L’elemento di maggior interesse è la costruzione del loro legame, l’accostamento a una persona sconvolta nel fisico e nella mente con un soggetto privo di sentimenti, di scrupoli, armato della sua esuberante fisicità, compresa quella sessuale. Audiard spazza in un solo colpo analisi, ascolto, comprensione e affettività, a favore dell’animalità prima che un velo di ruggine intacchi o spezzi le ultime ossa rimaste, insomma cerca di compiere un’operazione coraggiosa e miracolosa. La sua tecnica di ripresa è rigorosa, usa frequentemente  la soggettiva in cui l’intensità dei protagonisti riempie lo schermo ricompensa il cuore  e trasmette un’emotività palpabile quando Alì e Stephanie sono insieme. L’elemento acqua che è presente nelle sequenze determinanti pur non essendo una novità per evidenziare passaggi emotivi fondamentali è comunque dosato per le situazioni in cui serve. La parte debole del film, proveniente dalla sceneggiatura o dall’interpretazione del libro da cui la storia è tratta, è la gestione del personaggio Alì con il mondo rimanente, la regia gli semina intorno elementi di contraddizione che mettono a dura prova la serenità di giudizio dello spettatore che si deve confrontare e farsi digerire incongruenze interne alla vicenda, che fanno scadere la credibilità e la sostenibilità delle caratteristiche dei vari personaggi coinvolti e di Alì stesso. La parte finale scivola al limite dell’incommentabile, e quando il film sarà in sala non solo per le anteprime spero susciti feroci polemiche. Questo finale ha la forza di tenere a galla tutti gli elementi negativi della sceneggiatura, confermandone l’aderenza, così da riportare a grandi passi un possibile buon film alla stregua di un prodotto assolutamente normalizzato che a questo punto si rivela non all’altezza dei lavori precedenti di Audiard. Peccato

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