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La frode

Regia di Nicholas Jarecki vedi scheda film

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La recensione su La frode

di rflannery
4 stelle

Discreto thriller frutto degli scandali finanziari e non solo che coinvolgono tanta parte della politica americana. È diretto con una certa sicurezza dal giovane Nicholas Jarecki, fratello d'arte (Eugene è documentarista di livello internazionale mentre l'altro fratello Andrew ha diretto lo splendido docudramma nel 2003 Una Storia americana) che al primo lungometraggio dimostra di saperci fare con la tensione e con gli attori. La storia è di matrice hitichcokiana: un uomo potente e ricchissimo (Richard Gere) si trova in un bel guaio: deve vendere e al più presto la sua banca d'investimento ma al tempo stesso deve proteggersi da uno scandalo che metterebbe a serio rischio la sua vita pubblica e privata. Jarecki gioca bene le non tantissime carte che possiede: gestisce al meglio almeno due attori su tre (Tim Roth nel ruolo di un detective senza scrupoli e Susan Sarandon in quelli della moglie del protagonista) e soprattutto, dopo un inizio piuttosto convenzionale, imprime alla narrazione una virata con un colpo di scena tanto imprevedibile quanto fondamentale per l'evolversi della vicenda. E, a questo punto, la storia si fa interessante: succede infatti qualcosa che è opportuno non svelare ma che lo spettatore ben conosce perché è testimone oculare dei fatti, per cui cambia il punto di vista che va a coincidere totalmente con quello del protagonista accerchiato su più fronti, dalla famiglia al lavoro fino a un'indagine scomoda della polizia. Si fa il tifo per Gere, insomma, nonostante l'ambiguità del personaggio e per quanto l'interpretazione del protagonista di Pretty Woman non sia proprio delle migliori. Si spera che la sfanghi, in un modo e nell'altro, si teme che i nodi vengano al pettine e che la polizia, secondo uno spirito totalmente hitchcokiano, possa rovinare il tutto. Non male come confezione e come tensione: un po' meno equilibrata la sceneggiatura (dello stesso Jarecki) che perde pezzi per strada (la ferita del protagonista, uno dei figli che non viene praticamente sviluppato, la stessa Sarandon che assume spazio solo nelle ultime battute) e alterna momenti deboli ad altri di notevole verosimiglianza. Jarecki è un po' troppo fumoso nel descrivere il mondo della finanza con le sue regole e i suoi punti oscuri mentre è decisamente più a suo agio quando deve raccontare l'indagine, gli interrogatori e il processo evocando un'atmosfera kafkiana e claustrofobica in cui, oltre al protagonista, rischia di finire risucchiato anche lo spettatore.

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