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Il comandante e la cicogna

Regia di Silvio Soldini vedi scheda film

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La recensione su Il comandante e la cicogna

di EightAndHalf
6 stelle

La corruzione dell'Italietta dell'oggi è un pungente quanto ridicolo esempio di come virtù e giustizia sono andate a farsi benedire, in un Belpaese così ricco di contraddizioni e di bizzarrie da aver perso la sua identità. A vegliare su di esso stanno il ricordo nostalgico (e sempliciotto) della lungimirante presenza del comandante Garibaldi, che ha modo di litigare il più delle volte con le statue al suo fianco, e, infine, ha modo di dialogare con Augustina, la cicogna che insieme al comandante osserva e difende le piccole, sparute e sovente ostacolate presenze positive e propositive in Italia. Soldini è ovvio che nel bene e nel male ai suoi protagonisti vuole bene, a quelli che fanno gli idraulici e si ricreano con l'immaginazione la moglie morta per poter discutere dell'educazione dei figli, a quelli che hanno scelto la strada dell'arte e adesso necessariamente ne pagano le spese non riuscendo a garantirsi l'affitto, a quelli che trovano nell'interesse ornitologico forse la maniera di riscattarsi a una vita priva di interesse. E i suoi antagonisti sono invece espressione di quella corruzione ridicola che ormai in Italia è fisiologica e irrinunciabile espressione di evasione fiscale, truffa, danni all'economia nazionale, finanche a spese dell'integrità di pochi uomini semplici e indifesi. Il comandante e la cicogna cerca la strada (facile) della bizzarria e dell'ostentata originalità per narrare piccoli personaggetti da cinema italiano medio a cui Soldini ci ha spesso abituato (Agata e la tempesta), anche se spesso lui stesso aveva saputo creare ritratti esistenziali assolutamente non banali (si pensi a Le acrobate). Qui dà più che altro prova del brio che sa infondere nella messa in scena e del tono scanzonato con cui deride una serie di topoi contemporanei come l'ossessione per le lingue straniere, l'utilizzo irregolare di Internet, la perdita di valori, senza dire davvero nulla di nuovo e probabilmente senza averne le intenzioni, perché il suo film scorre liscio divertendo benché, certo, sfiori più volte il ridicolo (in)volontario (il personaggio del cinese o del fidanzato-spia), con un tono infine sottilmente invettivo che cerca di deridere anche una morale finale che, volenti o nolenti, c'è e vuole farsi sentire, nonostante l'umiltà e la chiarezza di fondo: l'Italia ha già passato da tempo il bivio, e ormai ben poco può essere preso sul serio. Perché, per dirla alla maniera di un Luca Zingaretti imparruccato e abbastanza involgarito, là fuori è una giungla, e indifferentemente è facile trovare una donna che cavalca una zebra, come una bandiera del Milan, come una cicogna che non mangia rane morte, come fantasmi il più delle volte salvifici, come bustarelle che girano con lampante facilità. Del tricolore manco l'ombra, però.
I personaggi, tutti sommati i loro errori, sono intoccabili caratteri da commedia all'italiana da simil-Virzì, lo stile di Soldini è annacquato e sempre molto politically correct, e la volgarità è genialmente dribblata in una sequela di trovate più visive che tematiche che cercano con la vivacità di superficie di coprire certe lacune a livello contenutistico che riguardano soprattutto la costruzione dei personaggi, che non si sa mai se vogliono essere macchiette o vogliono essere prese sul serio: un'ambiguità altrove magari apprezzabile, ma qui fin troppo sinonimo di indecisione. La trasferta in Svizzera, poi, è un finale che non sta né in cielo né in terra, benché non sia certo la verosimiglianza l'obbiettivo di Soldini: probabilmente sta a significare che sono questi buoni italiani adesso a salvare coloro che vegliano su di loro (ovvero il bambino Elia che va a ritrovare la ferita Augustina), ma simile stoccata ottimistica può limitarsi a destare il sorriso, e non smuove dal suo cantuccio un'operetta purtroppo dimenticabile, forse fatta con troppa fretta. Anche se la bustarella finale può destare qualche infido ma altrettanto dimenticabile dubbio.

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