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Il grande Gatsby 3D

Regia di Baz Luhrmann vedi scheda film

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La recensione su Il grande Gatsby 3D

di FilmTv Rivista
6 stelle

Baz Luhrmann coglie in pieno il sentore e il languore di un’epoca. Non certo quella dei roaring twenties in cui F. Scott Fitzgerald scrisse il suo capolavoro, ma la nostra: tutto si può imputare al magniloquente e ipercinetico regista australiano salvo la mancanza di sensibilità verso mode tendenze e deviazioni del nostro tempo. Nel rifare se stesso, frullando compulsivamente costumi d’epoca e canzoni contemporanee in una replica di Moulin Rouge!, Luhrmann trova nella dimensione ludica e musicale la sua cifra più riconoscibile e anche più riuscita: il romanzo di Fitzgerald ne esce ammaccato se non ignorato, eppure come non notare che la voce di bambola di Lana Del Rey è il tappeto sonoro perfetto per la miagolante golden girl Daisy/Carey Mulligan? Esaltato ed esangue, ebbro e convulso come i suoi protagonisti votati agli istinti meno nobili, il film vive di frenesie kitsch e di momenti di sublime bruttezza (le parole del romanzo che si materializzano in sovrimpressione o la memorabile entrata in scena di Leonardo DiCaprio, circonfuso di fuochi d’artificio), sperpera i fastosi numeri danzanti con inquadrature sovraeccitate e poi si autosabota con la stasi registica del melodramma da camera. A Luhrmann non interessa affatto la ricostruzione storica, né tanto meno la storia dell’amore impossibile, o forse mai esistito, tra Gatsby e Daisy: la sua messa in scena irragionevole e becera si fa specchio dell’anima del suo protagonista, consumato dal sogno di essere il più grande, di riconquistare il passato a suon di party mastodontici. Una messa in scena, appunto, una finzione dichiarata e scintillante: l’inganno eterno del cinema. Gatsby è allora un demiurgo folle e un po’ cialtrone, gemello del coevo Grande e potente Oz di Sam Raimi, con cui condivide l’ambizione cieca e un interprete volutamente sotto tono, beffardo e palesemente divertito nel giocare col suo ruolo (DiCaprio come James Franco, capocomico di un circo umano). Metafora sfacciata del lavoro di un regista che sopra ogni cosa ama la magia dello spettacolo puro, e che ancora insegue, forse invano, il pulsare ipnotico di una luce verde dall’altro lato dello schermo.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 21 del 2013

Autore: Ilaria Feole

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