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Babycall

Regia di Pål Sletaune vedi scheda film

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La recensione su Babycall

di Maciknight
7 stelle

Film che coniuga psicologia clinica con la parapsicologia conducendo lo spettatore in dimensioni apparentemente reali ma in realtà percettivamente distorte e fuorvianti, giocando sapientemente come il gatto col topo ...

Film che coniuga psicologia clinica con la parapsicologia conducendo lo spettatore in dimensioni apparentemente reali ma in realtà percettivamente distorte e fuorvianti, giocando sapientemente come il gatto col topo, ruoli per altro intercambiabili, secondo il grado di attenzione che si pone. Ma sfido anche lo spettatore più competente, smaliziato e concentrato a non cadere in confusione nel corso della visione di quest’opera. Quello che si potrebbe credere si scopre non corrispondere affatto alle situazioni realmente vissute dalla protagonista. Forse i lettori abituali di Dylan Dog saranno favoriti, abituati come sono ad essere “presi in giro” da storie apparentemente inspiegabili ed assurde, diciamo pure anche “allucinanti”, per poi sfornare loro un finale che riconduce tutto ad un mosaico interpretativo accettabile. Avviene anche in questo film, seppur con qualche perplessità, che credo possano essere superate solo rivedendolo una seconda, o forse una terza volta, per cogliere i particolari sfumati e persi dalla nostra memoria labile e riposizionati meglio nel puzzle interpretativo finale. Non voglio fare riferimenti troppo diretti alla trama, per non anticipare nulla e non rovinare la visione, ma certamente devo rendere merito al regista per essere riuscito, con un certo coraggio, a narrare una storia decisamente non convenzionale e piuttosto ardua e pochissimo “commerciale”, riuscendo a catturare l’attenzione dello spettatore fino alla fine. Spettatore reso inquieto e forse addirittura insofferente per il personaggio della protagonista, magnificamente interpretato da Noomi Rapace (talmente nella parte che potrebbe ingannare anche uno specialista del settore), che inizialmente sembra solamente una madre troppo ansiosa ed iperprotettiva nei confronti del figlio (e ne avrebbe ben donde), per poi dare l’impressione di essere anche paranoica ed allucinata, con tratti di lucidità in cui rivela doti da detective, per poi convincere lo spettatore di essere gravemente psicotica, domandandosi come mai non sia stata internata. Splendido il tratteggio psicologico del commesso dn un negozio di elettrodomestici (nel quale la protagonista acquisterà il babycall) che le si avvicinerà timidamente e con un’ipersensibilità prodigiosa, per cercare di esserle amico e fornirle aiuto per affrontare insieme la solitudine (reciproca) e disperazione esistenziale. Per smorzare la drammaticità dell’opera, che merita più di una sufficienza piena, vi riferisco non casualmente un aneddoto personale. Durante la visione del film, diciamo nella parte iniziale (così non vi rivelo troppo), abituato come sono a rilevare quanto il welfare dei paesi anglosassoni e soprattutto scandinavi sia anni luce superiore al nostro, ho commentato con mia moglie come il film rivelasse che in Norvegia una donna con figlio che subisce maltrattamenti dal marito violento viene presa in carico dall’assistenza sociale, che addirittura gli procura una casa e le assegnano una rendita per poter vivere dignitosamente, come avviene negli USA con il programma protezione testimoni. Nel corso del film ho dovuto ricredermi, ma non sono rimasto particolarmente deluso …

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