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Detachment. Il distacco

Regia di Tony Kaye vedi scheda film

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La recensione su Detachment. Il distacco

di giorgiobarbarotta
6 stelle

"Una depressione dell'anima, una nausea al cuore." Così Poe descrive l'abbandono, il degrado e il crollo di casa Usher in uno dei suoi racconti più noti. La citazione serve a Henry, l'insegnante protagonista, supplente in una classe di ragazzi difficili, a descrivere appieno (in un bel monologo con voce fuori campo) il sentimento provato nel collasso e deriva del sistema scolastico americano. Non solo: ancor più il disagio e le problematiche della gioventù a stelle e strisce nel sistema capitalistico moderno e l'impotenza e frustrazione del corpo docente. Sistema in cui l'individuo viene ridotto a elemento di consumo, forgiato e lobotomizzato dall'industria del marketing. In cui il prestigio e la fama dell'istituto scolastico contano più della mission educativa e servono piuttosto al quartiere per non svalutare il prezzo degli immobili circostanti. Adrien Brody, indimenticato pianista per Polansky, anche produttore del film, bene interpreta una tormentata figura di educatore a tutto tondo, un uomo dal passato segnato dal suicidio della madre causa abusi subiti in famiglia, e il cui presente risulta diviso tra incarichi scolastici e cura e tentativo di redenzione del nonno (colpevole dei suddetti abusi, ormai preda di demenza senile, pazzia e/o Alzheimer), solo e ricoverato in ospedale. A completare il cerchio l'incontro di Henry con una prostituta bambina che soccorre, ospita nella sua casa e poi indirizza verso una vita più sana, regolare e responsabile. Tony Kaye, abituato alle storie forti dai tempi di American History X, ci va giù pesante. La pellicola non risparmia momenti di esasperata drammaticità, nichilismo puro e feroce critica spietata alla società odierna, rea di creare generazioni di elementi pericolosi. Il piglio è da cinema indipendente, con tanto di illustrazioni animate a intercalare le sequenze del film. Il cast è di tutto rispetto, con vecchie glorie come James Caan (agghiacciante la sequenza delle foto mostrate alla ragazzina sbandatella di turno) e attrici fashion come Lucy Liu (isterica psicologa al capolinea). Cinema militante e progressista, dunque denso e giusto, ma anche pedante e manicheo. Peccato perché con più senso della misura si sarebbe sortito un affondo maggiore e un risultato più netto. In ogni caso interessante. Da vedere muniti di Prozac...

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