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Detachment. Il distacco

Regia di Tony Kaye vedi scheda film

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La recensione su Detachment. Il distacco

di PompiereFI
6 stelle

Gli studenti di una classe della fatiscente periferia di Chicago hanno difficoltà di apprendimento, ma soprattutto stentano a provare emozioni. Si esprimono solo attraverso un linguaggio crudo e aggressivo, usando la forza impulsiva contro gli oggetti e violentando chi è indifeso.

 

Poi arriva un supplente di letteratura (Henry Barthes/Adrien Brody) che assomiglia più a un crocerossino: cosparge di tracce di salvezza il cammino di anime che paiono perdute tra aule e palestra, mitiga il dolore di un nonno anziano andando spesso a fargli visita, ospita una sconosciuta in casa propria nel tentativo di redimerla o forse di trovare consenso in quella disillusione che tenta di celare dietro un volto costruito su gradazioni microscopiche. In realtà Henry, col suo mestiere, insegna molto di più: mette in guardia gli allievi invitandoli a preservare la propria mente per essere in grado di confrontarsi col mondo circostante.

 

Perché fuori la realtà è già impazzita da un po’, ed è impossibile trovare qualcuno che sappia svolgere come si deve il mestiere di genitore, figura perennemente assente ingiustificata dai banchi di scuola: quello che padri e madri sanno fare è solo sbraitare difendendo a oltranza i loro poveri figli, fomentare l’odio attraverso indifferenza e distacco, oppure soffocare qualsiasi velleità nel tremendo e banale qualunquismo.

 

Tony Kaye, dopo il bell’ “American History X”, continua a non risparmiare le abitudini di vita americane. Affidandosi a grandangoli, a fuori fuoco (generati dalla privatizzazione che sfida la nitidezza morale nella condotta dell’istituto?), e a penetranti teloni di blackboard animations, sublima la scelta di magnifici caratteristi secondari come James Caan, Blythe Danner, Marcia Gay Harden e Lucy Liu, mentre paga il prezzo di flashback che avrebbero potuto essere un po’ più misteriosi e singolari.

 

Sul diario quotidiano che ognuno di noi potrebbe avere, nessuno ha più niente da scrivere, risucchiato com’è dagli abbagli di una vita migliore promessa dall’estetica di massa e dagli altri ninnoli che conducono all’isolamento e all’aridità. Non riusciamo più a pensare, accerchiati come siamo da persone senza volto, ne’ a costruire nuovi ricordi che non siano quelli legati a cicatrici dell’anima.

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