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Reality

Regia di Matteo Garrone vedi scheda film

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La recensione su Reality

di EightAndHalf
8 stelle

"Never give up!". "Ok, ma questo never giv ap cosa vuol dire?!". 
Garrone realizza un ibrido. Prende l'intimismo psicologico e cupo dei suoi primi film e lo mixa con estro autoriale all'importanza civile e sociale di Gomorra. Torna a parlare di interiorità malate, di incubi sgradevoli e disturbanti. Parla per la prima volta del confine fra sogno e follia, accecandoci con colori fortissimi in contrasto con risucchi di oscurità che in Gomorra erano gli anfratti di un Inferno tutto terrestre. Qui l'Inferno è una volta ancora terrestre, ma il percorso verso di esso è volontario: il primo Inferno allontanava, benché Garrone lo vivisezionasse con la precisione di un bisturi; il secondo Inferno è un'illusione fatta di luci accecanti, di ignorante cecità, di autoannullamento mediatico. La fama, la gloria, che gode della distanza da ciò che è più basso, più mediocre.
In questo novello Bellissima viscontiano, Garrone ritrova una Napoli non folkloristica ma densa di contraddizioni, e ci inserisce in una realtà intollerabile e fastidiosa, tra corpi obesi e sfatti alla Ulrich Seidl e volti cascanti e riprorevoli che azzerano il sogno felliniano dello sguardo ghignante di moderne Saraghine. Il sogno del GF (Guardia di Finanza?) è l'alternativa non morale, non giusta, ma facile, per una felicità materiale e immediata, perché alla religione ci credono tutti, anche chi traffica illegalmente in robot da cucina. Ecco il nuovo fanatismo tutto del Nuovo Millennio, l'ossessione per  il nulla, il compiacimento di essere osservati, la mutazione della realtà. Eppure Garrone sceglie uno sguardo intimo e compassionevole, che non si ferma di fronte allo squallido e non se ne compiace, lo tratta come destino comune (e in Gomorra faceva lo stesso), inevitabile evoluzione di tutti noi. Un morbo che oscura, ci fa impazzire. Crolliamo in un vortice di follia, in Reality, vedendolo sia da fuori che da dentro, restando in noi stessi, ma comprendendolo, almeno nella contingenza della vicenda. Non capiamo quali siano i misteriosi motori dell'animo umano, né acquisiamo una qualche soluzione per una patria con sogni (sbagliati e inconsapevoli) destinati ad infrangersi. Garrone non vuole penetrare il suo personaggio, seppur disperandosi per lui; non vuole soddisfare, rendendosi magari incoerente, il bisogno provocatorio e malsano di vedere con i suoi occhi da folle. Quello che gli interessa è l'ipnosi verso l'onirico artificiale e meccanico dello spazio bidimensionale della televisione, quello che gli sta più a cuore non è giudicare la bassezza o l'altezza dei sogni, ma è angosciarsi del fatto di quanto un sogno, seppur basso e volgare, possa diventare sincero. L'immensa complessità della nostra mente, attratta dal chiuso claustrofobico e asfittico di un bunker arredato. Un film davvero importante, un incubo nelle mostruose lacune che ci allontano dal conoscere noi stessi.

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