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Le belve

Regia di Oliver Stone vedi scheda film

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La recensione su Le belve

di lorenzodg
4 stelle

Le Belve” (Savages, 2012) è la diciannovesima pellicola del regista newyorkese Oliver Stone.
   Tra film politico, antropologico e fortemente sociale, il cinema stoneniano calca sempre (senza distacco e poca partecipazione) ogni inquadratura che sia una. Mai si sente un profumo (o il senso lato dell’edulcorazione) ma una puzza pellicolare, un impatto pregnante e un senso tattile di spudorata vigliaccheria e di senso corporeo. Virulenza, elasticità, ignominia, schizofrenia, illegalità e splatterizzazione all’ennesima potenza. Oliver Stone sembra non darsene pace e ci propina con tra-sudarazioni quadri pieni dell’inutile bello e dell’utile brutto: una miscela esplosiva e un miscuglio di corpi, facce e travestimenti (quasi fuori dall’ordinario). L’espressività corposa dei titoli con una musica tambureggiante già fa capire le idee che si intendono dare. A Laguna Beach c’è una California sognata mentre una bella ‘donna’ racconta l’antefatto (fuori campo) ma l’inquadratura avvolgente e triturante di calori entra (da una finestra panoramica sull’Oceano) su un salone pieno con due carpi che tracimano sesso e un ragazzo (da dietro ripreso) con dietro tambureggiante. L’ansia orgasmica si trasmette allo spettatore in un inizio sfavillante e glamour colorato tra onde intense e uomini che s’annidano tra visiere e auto in sfilata sulla spiaggia (imbalsamata di ocracei solari super ingiallita). E da qui sull’Oceano imbufalito la regia dell’autore (impressa sullo schermo a mo’ di pittura incazzosa) impernia una storia veloce, ansiogena e (fin tanto che si desidera) anedralinica.
   Mentre Chon e Ophelia si staccano dall’accoppiamento amoroso ecco che torna l’amico Ben. Un trio sui generis: due che non vogliono che lei con un incomodo di lusso …il lavoro. Un particolare lavoro: coltivare ‘erba’ per fare soldi senza ritegno alcuno e vivere in libertà assoluta. Una goduria in un’America assatanata di gusto della vittoria e di sporchissime idiozie varie sui perdenti (reietti alla vanagloria). E chi se ne frega se la bella di turno viene rapita per soddisfare losche manovre e macabri giudizi: il regista a più non posso congela ogni piagnisteo e ci dà dentro in una fumettistica rincorsa del tempo e senza esclusione di colpi se ne vedono di tutti i colori tra Lado, Dennis, Elena, Magda, Spin e Matt con i due ragazzacci belli e cattivi, tra glamour, sporche cantine, fiamme, onde, caos, scoppi e chat-mania fino alla morte in diretta (ossessione oltre ogni dovuto: chi sa se il regista newyorkese ha mai visto “La Mort en direct” –La morte in diretta, 1980- di Bertrand Tavernier?).
   In diretta tutto per collegarci e scollegarci e la web impazza pazzamente tra i fuori di testa. E l’ordigno esplosivo del potere denaro del commercio-marijuana è cadaverico al massimo. Senza sconti Oliver Stone picchia durissimo in modo troppo plastificato (ma il reale non scappa e l’ironia saettante non partecipa a nulla): sferzate durissime contro il proprio Paese ma manca il vero convincimento e si ha l’impressione che il regista non abbia l’antidoto giusto e l’America svetta in ogni circostanza e viene amata al contrario. Che dire di un film girato benissimo che si perde nella seconda parte virando verso luoghi comuni e nefandezze di guerriglia risapute. Il cinema-reale di ‘Salvador’ e ‘Platoon’ o delle inchieste politiche (“J.F.K.” e “W.”) scompare totalmente in un vortice esasperante: ma anche le pellicole suddette forse sono ancora un buon appiglio per poter parlare della sua filmografia. Rimane da capire se è solo combustibile buono per girare altro in libertà (tipo “Alexander”). Forse la chiave di lettura non è semplice e tantomeno semplicistica ma il cinema è anche ‘viscerale’ e quello di Oliver Stone tende a sconquassare ogni nostro lecito giudizio. Ma lo spettatore più avveduto (ma anche, e soprattutto, chi non conosce il suo percorso) non può non avere un rigetto (senza esagerare) verso scene di indubbia efficacia reale ma che tendono a spianare il discorso verso l’effetto opposto (non certamente quello desiderato)
   ‘Selvaggi’, ‘feroci’ e ‘crudeli’: senza mezzi termini una pellicola senza confini e quasi innaturale dove il vero voluto rappresentare tende al kitsch, allo splatter e al morboso gusto di farc(s)i vedere oltre (quello che il corpo non riesce più a contornare e a annullare):. Il retrò della morte come horror quotidiano mentre il colore sfavillante chiude in superficie la vita ondeggiante della Beach sognata (e che il paradiso non sia lì ne siamo convinti). Tanto il ‘sottobosco’ di schiere di barche ferme sul porto acclarano che la visuale è di vetrina: piantagioni e foglioline di ‘erba’ sono specchio di umani sfiniti e di resoconti western in solitudine (e che la pista porti allo spaghetti-western è voluto). La legge del più forte. E i deboli che si nutrono (purtroppo) dei malviventi nemmeno l’ombra. E il cerchio si chiude con O che implora (incredibilmente) Elena il sapore della droga per morire in altro modo. O no? Tanto il fuori-onda diventa calcato che s’immagina (senza essere sceneggiatori) ad un finale rocambolesco. Stone non è Scorsese. E le morti che sono troppe si annullano in un ritorno indietro della pellicola. Mi sono sbagliato. Ecco il secondo (vero) finale. Una ventata di debolezza e non da grande regista. Un orribile modo di non far finire un film (già in piena bufera a tre-quarti di giro).
   E il buon Dennis è alle strette (tra i due giovanotti e Lado…): e Stone inventa la frase ‘politica’ accostandolo a Nixon. Chi sa che non nasconda qualcosa e fa altro invece di pensare ai suoi amici. John Travolta (sono suoi i panni del ‘giusto-malvivente’) non pare crederci fino in fondo nell’operazione (filmica) ma si tiene buono per non scomparire dalla scena e farsi schiacciare da Benecio Del Toro (Lado) quanto mai disturbato e pieno di (cattivo)gusto. Da sputargli addosso. Infatti può succedere. Basta lavarsi la faccia con i capelli di una bella donna (in)utile (O). E la battaglia finale Mexican Baja e Laguna Beach arriva nel deserto dei nostri mondi. Riprese e contro riprese, totali e primi piani, rosso e polvere in un duello (doppio) senza gusti: meglio il secondo finale (nel dvd che uscirà … c’è ne saranno a scelta…?). Ston(e)atissimo!
   Il cast è variopinto e muscolare (anche se le armi se ne vedono in abbondanza); Taylor Kitsch e Aaron Johnson se la passano bene con soldi, auto, donna e il resto. Bravi sicuramente ma il cambio di passo del film non fa bene ai loro occhi da ‘boys-beach’. I colpi si possono perdere con Salma Hayek (una Elena particolarmente tenebrosa) e un Benicio Del Toro sempre incazzatissimo. John Travolta di mestiere (e ci mancherebbe) ma gli anni passano e anche i ruoli si adattano (a ben altri contesti). Sulla regia di Oliver Stone c’è poco da dire e che il film non riesce ad andare sui giusti binari con un montaggio forzato, tagliato e sincopato. Le immagini in panoramica (e la fotografia) sono turismo fuori-listino.
   Voto: 5.

 

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