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Margaret

Regia di Kenneth Lonergan vedi scheda film

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La recensione su Margaret

di OGM
10 stelle

Margaret non è il nome della protagonista. È invece la ragazzina immaginaria a cui lo scrittore inglese Gerard Manley Hopkins si rivolge nella sua poesia Spring and Fall, to a Young Child. Un professore di lettere la recita in classe. E fornisce la chiave di lettura a questa vicenda costruita intorno ad un enorme senso di colpa, e che, però, non è il solito dramma del rimorso. Il conflitto generazionale si esprime in tanti modi. Ma forse pochi, sinora, avevano pensato a trattarne l’aspetto che Kenneth Lonergan sviluppa qui con tanta originale ed accurata sensibilità. L’incomprensione tra genitori e figli riguarda, prima ancora che la scala dei valori e le scelte di vita, il livello di intensità del dolore. Una bambina può sentirsi stringere il cuore di fronte allo spettacolo autunnale della caduta delle foglie. Un adulto può invece affrontare l’esperienza dell’orrore con l’apparente cinismo dell’esperienza, tipico di coloro che di cose ne hanno viste tante. La diciassettenne Lisa Cohen causa, in maniera involontaria e indiretta, un incidente stradale in cui  una donna muore travolta da un autobus. Il conducente è passato col rosso, in quanto distratto dalla ragazzina, che, mentre il mezzo era in marcia, continuava a fargli cenno, dalla strada, perché aprisse la porta e la facesse salire. Voleva assolutamente chiedergli dove avesse comprato quel cappello da cowboy, di cui lei aveva bisogno per una imminente vacanza a cavallo. Monica, distesa sull’asfalto con una gamba tagliata di netto, parla per qualche minuto, e poi spira tra le braccia di Lisa. Da quel momento per lei non c’è più pace. Il mondo continua a girarle intorno come se niente fosse, tutti gli altri portano avanti le loro esistenze, fatte di obiettivi frivoli e strettamente personali, mentre lei si sente esclusa da tutto ciò, oppressa da un peso che le toglie il fiato, e che non sa come alleviare. Interrogata dalla polizia, ha mentito sulla dinamica dell’accaduto, discolpando l’uomo che ha attraversato l’incrocio guardando di lato, verso di lei che correva sbracciandosi e urlando. Nel verbale della sua deposizione come testimone, il colore del semaforo è riportato come verde.  Lisa sa di aver commesso un errore imperdonabile, ma non si arrende all’idea che esso sia anche irreparabile. Alterna momenti di angoscia e di rabbia ad istanti in cui prende iniziative improvvise ed avventate, pur di far qualcosa, nella speranza di sbloccare la situazione e, magari trovare una via d’uscita. Agisce da sola, perché è convinta che nessuno la possa capire. Il suo rapporto con il resto dell’universo è diventato conflittuale ed avvilente: le è insopportabile l’idea che i suoi interlocutori abbiano un modo ben diverso di collocare le priorità, relegando il suo punto di vista in una posizione marginale, spesso con fastidio, se non con aperto disprezzo. Per tutti è la pivellina che piange per un nonnulla, che si lascia troppo facilmente impressionare, che mostra atteggiamenti egocentrici e presuntuosi. Emily, l’amica del cuore della defunta Monica, la accusa di protagonismo, di voler assumere il ruolo centrale in una tragedia che non le appartiene, dato che l’ha solo sfiorata, e per puro caso.  Eppure Lisa rivendica con decisione le proprie ragioni, che sono quelle, impossibili da tacitare, di chi soffre profondamente. Ciò che per lei è infinitamente importante, viene generalmente accolto con sufficienza. Nessuno condivide gli ideali sfrenati che escono dal suo cuore gravemente ferito. Nella sorprendente interpretazione dell’attrice rivelazione Anna Paquin, un urlo inascoltato si trasforma in una polemica stizzosa, irriverente, aggressiva, rivolta contro le altrui convinzioni, e distribuita sulle più diverse circostanze del quotidiano, normali o straordinarie che siano. È la reazione di chi, in una condizione di enorme disagio della coscienza, si sente circondato da un muro di indifferenza, che minimizza le sue preoccupazioni con una saccente alzata di spalle. Agli occhi di Lisa, ognuno ritiene di conoscere la realtà molto meglio di lei, che pretende di esserne nel giusto e di avere il diritto – e magari il potere – di cambiare le cose. La maturità insegna ad essere più duri. O forse solo molto più rassegnati. Ma il turbine sollevato dalla battagliera irrequietezza di Lisa finirà per travolgere anche le personalità più solide, dimostrando che  vulnerabilità e superficialità sono mali da cui nessuno è immune. Margaret è un capolavoro di regia e sceneggiatura, che riesce, con incredibile naturalezza, a rendere in vivo la labirintica complessità delle emozioni e dei strenui tentativi di esprimerle. L’anima di quest’opera è una minuziosa dialettica del pensiero soggettivo ed estemporaneo, che argomenta secondo l’intuito e risponde d’istinto. I dialoghi traducono gli attriti, i malintesi e le frustrazioni in schegge di  fragilità, sparate contro il vento con la forza di chi annaspa, disperatamente, per far sopravvivere il proprio modo di esistere. 

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