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J. Edgar

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su J. Edgar

di tafo
8 stelle

Guardare in faccia un uomo il cui potere è stato veramente assoluto. Un uomo che voleva talmente essere un eroe da reprimere perfino se stesso pur di apparire un perfetto difensore dei valori americani. Hoover vedeva complotti da tutte le parti, chi non  la pensava come lui era comunista e per questo doveva controllare tutti gli americani in modo razionale e con ogni mezzo. Il film è un ritratto del potere individulae talmente esteso da potersi auto-costruire la propria leggenda e poter trattare alla pari con gli stessi detentori del potere politico tutti ricattabili dalle informazioni di cui Hoover disponeva. Il denudamento del potere del capo-creatore dell'FBI è fatto sovrapponendo privato e  pubblico , i drammi personali e la caccia alla streghe, spiare nella camera da letto degli altri vergognandosi della propria intimità. Il denudamento del potere è fatto mischiando presente e passato dove le facce invecchiano ma le idee non migliorano restando dogmi da osservare automaticamente senza aver capito che il mondo ora gira diversamente. Il denudamento del potere non ha bisogno di essere morboso o politico quando vuole essere claustrofobico e odorante di chiuso come una stanza poco illuminata in cui si sta male fino all'abbruttimento. Quello che conta per Eastwood è la filosofia dell'uomo di potere prima delle azioni, la violenza morale prima di quella fisica fatta a se stesso prima che agli altri, il volto senza la maschera. La leggenda di Hoover viene smontata nel monologo-confessione del collega-amante così da permettere all'antieroe Eastwood di smascherare il finto eroe prima della sua morte.La storia in qualche modo ritorna sulla scena così come diventa concreta la possibilità di fare luce sui futuri complotti del potere ( Watergate ) senza che diventino armi di ricatto di un potere su un altro. Questo film poteva essere fatto in molti modi,forse dal nostro ci si aspettava un opera più diretta e meno problematica. Mi piace pensare  che il regista abbia scelto un approccio alla Sokurov , nel senso che alla fine quello che resta è il grottesco dei volti e la paranoia delle cose dette. Mi piace pensare che il nostro abbia scelto l'approccio più difficile e ambizioso, di quello che vuole capire come un uomo possa essere come disse Fuller malato, crudele, dogmatico,stupido e razzista e abbia saputo e potuto tenere per le palle il suo paese per decenni.

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