Regia di Cristina Comencini vedi scheda film
Certamente non il miglior prodotto della Comencini (probabilmente miglior regista che scrittrice).
Il film racconta efficacemente l'incontro tra due grandi, diverse situazioni di solitudine: una, diciamo così, tipicamente "femminile", e l'altra maschile.
La prima è la solitudine di chi cresce i propri figli piccoli da sola, senza aiuto e soprattutto senza aver a fianco la presenza del proprio uomo: la solitudine e la disperazione delle ragazze madri, di chi ripone nei propri piccoli l'intero senso della propria vita, ma che è consapevole (o a volte, addirittura inconsapevole), della difficoltà di crescerli da soli.
La seconda è la solitudine della montagna, di chi la montagna la vive e "vive" di montagna, come puà essere una guida alpina. Quel tipo di solitudine dovuta all'ostile e tremendo ambiente alpino, che così bene ho trovato descritta ad essmpio in "Novelle e paesi valdostani" del Giacosa.
Solitudini acuite ulteriormente, nel primo caso, dall'isolamento di una vacanza trascorsa in una villetta quasi ai confini del mondo (abitato); nel secondo caso, da una situazione familiare (sia per quanto riguarda i genitori che per quanto riguarda moglie e figli) difficile e mai digerita.
Ebbene, ecco il messaggio: anche queste due solitudini, così grandi e apparentemente distantissime tra loro (e forse proprio per questo), possono trovare un punto di incontro. Non lo definirei neanche amore, ma quasi una necessità, come la carica negativa che incontra quella positiva, l'elettrone che incontra il protone.
Ne nasce una unione di anime che dura negli anni, al di là del tempo
e dello spazio, delle convenzioni umane e di tutto quanto nel frattempo succede nel mondo. Inevitabile, più forte di tutto. Se volete, chiamatela pure amore.
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