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Morte a Venezia

Regia di Luchino Visconti vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Morte a Venezia

di laulilla
10 stelle

Dopo aver riletto il romanzo, rivisto il film e recensito il documentario svedese su Tadzio, non poteva mancare la mia recensione.

 

Arrivato a Venezia e diretto all’Hotel des Bains, lussuoso albergo del Lido, per un lungo periodo di riposo dopo la grave crisi cardiaca che lo aveva messo a rischio della vita, il famoso musicista tedesco Gustav von Aschenbach (Dirk Bogarde) - il nome del personaggio allude a Gustav Mahler - era arrivato, senza saperlo, in uno dei luoghi più duramente colpiti dall’epidemia di colera secco. Contraddicendo l'esperienza delle precedenti pandemie, i vibrioni della malattia non erano giunti in Occidente dall’Est asiatico, ma dalla Siria; di lì, attraverso il Mediterraneo e la Francia, avevano infettato l’Europa Nord orientale e solo più tardi avevano toccato Venezia e la sua laguna.

Le autorità, colte impreparate, avevano cercato di nascondere la notizia, per evitare che la fuga dei turisti – che l’affollavano, come ogni anno, fino alla fine dell’estate – determinasse la crisi degli alberghi, dei negozi e di tutte le attività economiche, comprese quelle di dubbia legalità, che dal turismo traevano profitto e sostegno.

 

La città lagunare – anche dopo l’annessione all’Italia del 1866 aveva mantenuto il suo carattere di città cosmopolita: nei grandi alberghi della città e del Lido si continuava a offrire agli spensierati turisti russi e mitteleuropei il lusso e le attrazioni che non facevano rimpiangere i fasti imperiali.
Era il 1911, vigilia della terribile guerra che dal ’14 al ’18, avrebbe sconvolto gli equilibri del mondo e disgregato l’impero asburgico, tuttavia nessuno in laguna sembrava  farci caso.

Allo stesso modo nessuno pareva inquieto per i segnali sinistri e le notizie che filtravano dai giornali internazionali e anche dal mutato volto della città: la calce viva sul bordo dei pozzi; i disinfettanti lungo i muri dei vicoli, delle vecchie calli, dei campielli, mentre avvisi e manifesti vietavano gli assembramenti.
Un grottesco e artificioso clima di allegria accompagnava lazzi e sguaiatezze dei guitti imbellettati che si esibivano nei giardini dell’hotel Des Bains interrompendo le malinconiche musiche dei valzer e delle operette di Lehar.

 

Aschenbach, dunque, era arrivato all’Hotel Des Bains, ed era un convalescente inquieto e solo: la morte aveva cancellato dalla sua vita la bella moglie (Marisa Berenson) e la figlioletta amatissima, felici parentesi di un’esistenza faticosa (che il film evoca con numerosi flashback), né i premurosi servigi del direttore d’albergo (Romolo Valli), che gli aveva riservato una prestigiosa suite con vista sul mare e sulla spiaggia, erano sufficienti a colmare quel vuoto doloroso.

Come tutti i nuovi arrivati, egli si guardava attorno nei grandi saloni d’attesa e aveva  notato con curiosità una  ricca famiglia polacca. C’era una madre bella e altera (Silvana Mangano); una governante (Nora Ricci) che badava alle tre figlie e al  giovane Tadzio (Björn Andrésen), preadolescente, taciturno e malinconico, che per la perfezione dei lineamenti era apparso ai suoi occhi come un' epifanica  incarnazione della bellezza e della grazia efebica, e riportava alla sua memoria quegli ideali di classica perfezione che in passato lo avevano guidato nelle composizioni musicali, e che avevano suscitato polemiche con l’amico Alfred (Mark Burns), al contrario convinto sostenitore dell'impossibilità di prescindere dalla realtà oscura e demoniaca degli umani impulsi in ogni espressione artistica e soprattutto nella composizione musicale, ambigua per sua stessa natura.

 

Aschenbach aveva lucidamente avvertito, dunque, nell’efebica presenza di Tadzio un insidioso e imbarazzante pericolo per il proprio equilibrio emotivo e aveva perciò presto deciso di tornare in Germania, per ritrovare l’imperturbabile serenità che lo aveva reso riconoscibile a un pubblico di raffinati estimatori.

 

Non era andata così: i suoi bagagli per errore erano stati spediti a Como anziché ad Amburgo, ciò che lo aveva costretto a tornare all’Hotel Des Bains dove con gioia aveva rivisto Tadzio, scoprendo e accettando infine che una sconvolgente attrazione pederastica, inaccettabile in tutto il mondo non più pagano, diventasse non solo la forza ispiratrice della musica che aveva ripreso a scrivere, ma la potente forza vitale che ora lo spingeva a vivere, a prendersi cura di sé, e addirittura a ringiovanirsi con gli strumenti del trucco e della tintura dei capelli.

 

Del celebre lungo racconto di Thomas Mann (1911), Luchino Visconti offre, dunque, una  meditata e originale lettura, che, pur mantenendo la traccia narrativa dello scrittore tedesco, introduce più di un elemento di novità, nonché un personaggio del tutto nuovo. Si tratta di Alfred (Mark Burns), personaggio non presente nel racconto, ma, come è stato notato, “contaminatio che in parte storicizza, in parte rilegge il testo anche alla luce del Mann successivo…Aschenbach ricorda il narratore del Doktor Faustus” [l’ultimo romanzo di Mann del 1947], mentre le discussioni “sulla musica e sull’arte di Gustav e Alfred hanno talora le connotazioni demoniache del faustiano Adriano Leverkhün (Lino Micciché)

 

 

 

 

Eccezionale colonna sonora; le struggenti sinfonie Mahleriane accompagnano la crisi del musicista e dell’uomo, così come il desiderio e l'annullamento di sé, che non può che preludere alla morte, malinconico tramonto che lo stesso Tadzio, inconsapevolmente gli avrebbe mostrato in una memorabile scena finale.

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