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Guilty of Romance

Regia di Shion Sono vedi scheda film

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La recensione su Guilty of Romance

di alan smithee
6 stelle

Sexy thriller nipponico torbido e voyeuristico dell’apprezzato regista Sion Sono, sconosciuto da noi ma con all’attivo gia’ una quindicina di titoli piuttosto noti nei giri festivalieri. Il (bel) titolo scelto per il mercato internazionale e' "Guilty og romance"

La pellicola e’ segnalata come uno dei pezzi forti della Quinzaine di quest’anno ed e’ incentrata sulla figura di tre donne di diverse estrazioni, la moglie di un noto romanziere, una professoressa universitaria e una detective incaricata di una complicata indagine; tutte e tre accomunate dalla insoddisfatte della propria vita coniugale/sessuale, fedifraghe e/o dedite a pratiche di soddisfazione dei sensi decisamente poco ortodosse.

La trama, organizzata in cinque capitoli piu’ un epilogo, non rispetta un definito arco temporale ma si sposta con una certa disinvoltura piu’ volte avanti e indietro rispetto al ritrovamento di un cadavere orrendamente mutilato di una delle tre protagoniste.

Il film, girato molto bene e con seducenti inquadrature esaltate da colori vivi contrapposti ad un contorno plumbeo e piovviginoso, con coinvolgenti e un po’ insistite musiche in cui predomina un violino un po’ invadente, si aggroviglia un po’ nello svolgimento (o forse non sono riuscito a comprenderlo appieno, complice una visione in tarda serata in lingua originale sottotitolata contemporaneamente in francese ed inglese - dopo una estenuante coda di due ore in piedi) e si indebita molto in certe situazioni con alcuni capisaldi del cinema d’ogni tempo: il magnaccia delinquentello con la bombetta non puo’ non richiamare i teppisti kubrickiani di Arancia meccanica, la professoressa dalla doppia vita e’ un po’ una nuova Kathleen Turner del Russell anni ’80 “China Blue”, mentre per il riuscito personaggio della madre di quest’ultima (alla quale si deve un monologo davvero strepitoso sull’origine delle perversioni in capo alla figlia) difficile che il regista non si sia almeno lontanamente ispirato alla Clara Calamai del Profondo Rosso di Dario Argento.

Ritengo inoltre che una sforbiciata di una mezz’ora avrebbe giovato al film non sempre cosi’ scorrevole come un thriller richiederebbe, mentre l’epilogo con la poliziotta che insegue il camion degli spazzini e scopre la sede del “castello” e’ una soluzione forse anche ironica, ma che non potrebbe tollerarsi in una produzione occidentale.

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