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Carnage

Regia di Roman Polanski vedi scheda film

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La recensione su Carnage

di laulilla
9 stelle

Duplice ritratto di famiglia in un interno newyorkese.

 

Si trovano, infatti, nella casa dei signori Longstreet, i coniugi Cowen, lì convocati per dirimere amichevolmente un’incresciosa questione: il bambino dei Cowen, Zachary, con un colpo di bastone di bambù, ha fatto saltare due incisivi dalla bocca del piccolo Ethan Longstreet, durante un litigio banale, di quelli che avvengono tra ragazzini.

 

L’incontro, che viene inteso come un civile modo per comporre pacificamente una querelle e, forse, come il primo passo di una futura amicizia, diventa, invece, una sorta di catalizzatore di veleni: dapprima fra le due coppie che non si piacciono affatto; in seguito, all’interno delle singole coppie, per i rancori sopiti troppo a lungo e continuamente sul punto di esplodere.

Il gioco al massacro assume agli occhi dello spettatore la forma di una grottesca e anche comica rappresentazione della media borghesia americana (ma non solo), con i suoi vizi e i suoi tic, ma anche con la sua ipocrisia, accuratamente celata dal perbenismo di facciata, che occulta la ferocia con la quale chi ha raggiunto una posizione sociale più prestigiosa, i Cowen in questo caso, si sente in diritto di umiliare gli altri, con comportamenti che vanno dall’ironia sprezzante, alla noia malcelata, all’aggressività verbale e infine al vomito.

 

D’altra parte, la coppia dei padroni di casa non è certamente migliore: quando ormai è chiaro il fallimento dell’incontro, essi richiamano in casa gli ospiti che se ne stanno andando, cosicché l’imbarazzante subalternità stimolerà ulteriormente l’atteggiamento sprezzante dei Cowen, in modo particolare di Alan, il marito, che potrà facilmente infierire contro le ingenuità politically correct di Penelope Longstreet, casalinga terzomondista, acrittrice velleitaria, ma soprattutto donna nutrita di luoghi comuni.

Sgomenti vediamo e acoltiamo, nella dinamica dello scontro, il crescendo di contumelie e di rinfacci rancorosi; l’alternarsi sorprendente di alleanze, nonché l’emergere di comportamenti liberatori, lungamente repressi, che ora dilagano senza freni e che hanno precisi bersagli: i libri di Penelope (sporcati dal vomito di Nancy Cowan) e il cellulare di Alan Cowen, scagliato nell’acqua e reso perciò inutilizzabile – non a caso proprio gli oggetti che sul piano simbolico erano diventati i feticci compensativi dello squallore della vita quotidiana, cumulo di raggiri poco edificanti, di frustrazioni, di insincerità.

 

 

Gli attori, davvero in stato di grazia, sono: Jodie Foster (Penelope Longstreet); Kate Winslet (Nancy Cowen); JohnC. Reilley (Michael Longstreet); Christoph Waltz (Alan Cowen).  

Ottima direzione di Roman Polanski, che ne ha curato anche la vivace sceneggiatura, insieme a Yasmina Reza (autrice della commedia da cui il film è tratto e che a lungo, con successo, era stata rappresentata nei teatri newyorkesi), riuscendo ad avvincere e a divertire gli spettatori dalla prima all’ultima scena, quella che ci mostra i due bambini, dai quali aveva preso origine tutta la feroce carneficina: ora hanno fatto la pace e giocano tranquillamente nel parco...

L’immagine-sfondo di New York non inganni: Polanski l’ha girata a Parigi!

 

 

Riferimenti non casuali all’Angelo Sterminatore, altro impietoso ritratto di borghesia inconcludente, incapace di uscire dallo stallo claustrofobico in cui si era volutamente cacciata. 

 

 

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