Regia di Lars von Trier vedi scheda film
"E' sdolcinato, è un film da donna! Mi verrebbe voglia di "rigettarlo" come un organo trapiantato." Sono parole di Lars Von Trier, dopo l'uscita del film, prima ancora di essere presentato al Festival di Cannes.
Per chi conosce la filmografia del regista danese, Melancholia, classificato grossolanamente come film di fantascienza, l'istinto iniziale sarebbe quello di "rigettarlo" come lo stesso Trier dichiara. Ma ad una attenta analisi, superata la fase iniziale di apertura con il superbo Preludio a Tristano e Isotta di Richard Wagner, il film si rivela in tutta la sua valenza e magnificienza, una preziosa perla che si aggiunge a formare una collana con i precedenti dieci lavori del poliedrico regista.
"Il più bel film del Festival di Cannes" scriverà L'Espresso. Eppure il regista aveva temuto che la sua carriera potesse finire a quel punto: "Mi aggrappo alla speranza che in tanta melassa possa esserci una scheggia d'osso che rompe qualche dente. Chiudo gli occhi e spero".
L'idea del film nasce da un periodo molto delicato della vita di Trier, una depressione curata in neuropschiatria e superata grazie alla sua caparbia forza di volontà. Il tema della depressione domina tutto il film, ma non invade mai la sfera emotiva dello spettatore, si percepisce e si assimila mentre le storie di due sorelle si intrecciano, si staccano e infine si fondono per andare incontro alla tragedia che per Trier è la fine dell'incubo, l'unico modo per risolvere ogni problema legato al male oscuro che si era impossessato di Justine (Kirsten Dunst) subito dopo le nozze con Michael (Alexander Skarsgard).
Kirsten Dunst (Justine) è stata premiata al Festival di Cannes come migliore attrice: riconoscimento meritato, Kirsten Dunst è perfetta nella sua parte, appare solare come sposina, poi subisce una metamorfosi (depressione?), respinge il marito che vorrebbe fare l'amore, lo tradisce con un suo insignificante collega di lavoro, concedendosi a lui nel bel mezzo di un campo da golf. Michael se ne va, infuriato, Claire (Charlotte Gainsbourg) sua sorella, si prende cura di lei e l'accompagna in una lunga passeggiata a cavallo nel vasto parco del castello nel quale si trovano per il ricevimento nuziale di Justine e Michael. Justine si accorge che nel cielo è scomparsa la stella Antares. E' l'inizio della catastrofe, strani fenomeni accadono, muoiono gli animali, nevica col sole, campi magnetici interrompono l'energia elettrica.
Appare all'orizzonte la causa di tutti quei fenomeni: l'immenso meteorite Melancholia si dirige verso la Terra, in rotta di collisione.
John, il marito di Claire si suicida nella stalla. Justine prepara "la grotta magica", dove si rifugia con Leo, il figlio di Claire, nel tentativo inutile di trovare la salvezza per il bambino. Melancholia si avvicina sempre più, colpisce il nostro mondo, ed è la fine.
Tutto questo è nel film più atipico di Lars Von Trier, tanto lontano da "L'elemento del crimine"(1984), da "Dogville"(2003) e da "Antichrist" (2009) tanto per citare alcuni titoli della sua produzione. E ancora più lontano da quel "Nynphomaniac" (2013) che forse sì potrebbe avere decretato la fine di una carriera spesso altalenante a causa delle ricorrenti crisi esistenziali del regista, ma sicuramente meritevole di attenzione.
Oltre la Dunst e la Gainsbourg, è buona la prova di Alexander Skarsgard e di John Hurt, mentre più defilato appare Kiefer Sutherland, forse nel ruolo meno adatto alla sua personalità.
Il film è stato definito "Misterioso e affascinante" da La Stampa, "Monumentale" da Le Mond e "Un tripudio di citazioni colte e innegabili seduzioni visive" da Il Messaggero.
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