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Almanya - La mia famiglia va in Germania

Regia di Yasemin Samdereli vedi scheda film

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La recensione su Almanya - La mia famiglia va in Germania

di PompiereFI
6 stelle

Esordio nel lungometraggio per la regista Yasemin Samdereli, “Almanya” (parola turca che indica la Germania) rende l’essenza, tra allontanamenti e stringimenti di legami, di quei figli degli immigrati turchi nati e cresciuti in terra teutonica. Un argomento sentito per la 38-enne autrice la quale, con la sorella alla sceneggiatura, ha voluto così rinverdire i fasti di un passato nemmeno troppo lontano (la storia prende il via verso la metà degli anni ’60) e confrontarlo con un presente dove il tema della convivenza con gli immigrati è materia attuale e spesso scottante.

 

Non è tutto oro quel che riluce; e le sorelle non mancano di esaltare le passioni velate nei confronti dei tedeschi e rapportarle al sincero affetto per il paese d’origine. Con al centro la figura del nonno Hüseyin, prende il via una storia fatta di lenti insediamenti, di mestieri faticosi e miseri, che la pellicola fronteggia in modo spensierato, mutando il dramma in commedia. Lo fa con una bella idea di montaggio: allegro, brioso e accattivante, e lo rinforza con qualche battuta sull’igiene dei tedeschi e sul cattolicesimo che fa sorridere più di una volta grazie al ricorso alla fantasia.

 

Poi la regista smarrisce eleganza formale ed equilibrio, infilandosi in una virata luttuosa quasi prevedibile e non richiesta. Da lì, il senso di dignità per l’appartenenza a un paese, che come tutti gli altri ha ben radicate le proprie origini e tradizioni, perde d’interesse, e per davvero il confine diventa un territorio Europeo indistinto del quale enunciare i non secondari insuccessi e le difficoltà.

Il disorientamento d’idee si ha nella piccola confusione dei limiti sentimentali (troppi e troppo poco approfonditi i vincoli tra fratelli, cugini, nipoti); mentre si consuma la serietà il film diventa… poco serio. Multiculturale non è sempre sinonimo di interessante, al massimo di curioso. E l’oggetto più insolito ed eloquente che compare ai nostri occhi è una meravigliosa casa senza mura, libera da qualsiasi frontiera.

 

Samdereli insomma prende un po’ della peggiore malinconia tornatoriana: volti e corpi che viaggiano avanti e indietro nel tempo, in flashback senza molti nessi sovrapposti al presente, e sviolinate in sottofondo. Manca di epicità questa storia “carina” sull’integrazione, e si fa carico di un’enfasi un po’ appiccicosa.

La Coca Cola a volontà, tanto agognata da uno dei personaggi all’inizio del film, alla fine giunge un po’ sgasata. Lo strascico dell’epilogo, riguardante l’ampliamento geografico nell’aula scolastica, è un vezzo tardivo appena spiritoso.

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