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Devil

Regia di Drew Dowdle, John Erick Dowdle vedi scheda film

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Indy68

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La recensione su Devil

di Indy68
8 stelle

Che è la storia di una giornata storta, 'alla rovescia', lo si capisce fin dai titoli di testa (ed una connotazione fortemente caratterizzante la pellicola è appunto la funzione narrativa della bella fotografia di Tak Fujimoto). Poi, di buon’ora, un uomo si suicida gettandosi da un palazzo. Cosa sta accadendo ce lo illustra la voce narrante di uno dei protagonisti della pellicola, la guardia di sicurezza del palazzo Ramirez (Jacob Vargas), fervente cattolico. E’ che il diavolo è sceso a downtown, per fare shopping, naturalmente, di anime però (trattandosi appunto di belzebù); e per realizzare il suo scopo, sceglierà dei dannandi, ovvero peccatori non redenti, li imprigionerà e li torturerà un pò, prima di condurli all’inferno.  Mentre il tormentato detective Bowden (il pulito Chris Messina), quasi ex alcolista in quanto padre e marito privato di moglie e figlio uccisi da ignoto pirata della strada, cerca di far luce sull’accaduto, cinque persone (tra le quali, l’ombroso Logan Marshall Green) rimangono bloccate in ascensore, e quattro di loro sono, come previsto, peccatori mortali selezionati e chiamati al diabolicamente sadico happening loro dedicato. Quindi, mentre la polizia, il personale di sicurezza e tecnico dell’edificio ed i pompieri cercheranno invano di sbloccare l’ascensore e liberare i malcapitati, avverrà il gioco al massacro, cui tutti assisteranno più o meno impotenti, anche perchè il demonio non tollera intrusioni ed eliminerà chi osa tentare di rovinargli i piani. Ma si sà, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, e il libero arbitrio e la capacità di perdono e compassione che albergano nei cuori degli uomini ci metteranno una pezza. Pellicola veloce ed essenziale, gestita sobriamente da John Erick Dowdle e scandita da un montaggio ben cadenzato, si rivela come opera meritoria di considerazione, non solo per l’edificante messaggio contenuto nel finale. La suspense pervade infatti tutto il film, e funziona pure la metafora della cabina dell’ascensore come simbolo del soffocante isolamento indotto dalla rimozione della propria colpa da cui ci si può liberare soltanto riconoscendosi peccatori e, debitamente, pentendosi. voto: 7.

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