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Ballata dell'odio e dell'amore

Regia di Alex de la Iglesia vedi scheda film

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La recensione su Ballata dell'odio e dell'amore

di giorgiobarbarotta
8 stelle

Un paese in caduta libera con la schiena spezzata e una scia di sangue alle spalle. Due opposte fazioni sfigurate a contendersela. L'uomo che diviene bestia per soverchiare il suo simile. Con una favola gotica coraggiosa e visionaria, potentissima allegoria della storia di una nazione, De La Iglesia firma probabilmente il suo film più riuscito. Con un gioco citazionistico mirato e intelligente, il regista iberico si muove in equilibrio sia sul fronte storico (la guerra civile spagnola di fine anni '30, l'attentato a Carrero Blanco del '73, lo splendido finale sulla croce nella Valle dei Caduti), sia sul piano più prettamente narrativo, raccontandoci le gesta di un antieroe segnato nel destino dalla sofferenza, dalla disgrazia, dalla follia. Xavier, pagliaccio triste "figlio d'arte", è protagonista di un intreccio da classico del melodramma: è il meccanismo Lui-Lei-L'altro a tessere le fila della vicenda. Toni sovente da commedia nera, abbondanti dosi di horror (tornano alla mente certi Tobe Hooper o il Fantasma dell'Opera e il Gobbo di Notre Dame, tra gli altri), il gusto dichiarato per il grottesco (Jodorowsky, Fellini), i Freaks al centro della scena, l'amore palese per il fumetto (la scena della trasformazione definitiva nel preteassassino-pagliacciovendicatore in primis). Tutto passa sullo schermo gestito con indubbie capacità (non a caso Leone d'Argento a Venezia con Tarantino presidente di giuria), poggiandosi su uno stile barocco che, piaccia o meno, riempie gli occhi dello spettatore. "Siamo tutti uguali di fronte alla morte". E la Grande Mietitrice permea la pellicola in ogni sua parte, sia sul fronte del visivo, sia su quello dei sottotesti, che spesso emergono ferocemente tra le pieghe del racconto, imponendosi su di esso. A fare da sfondo, ovunque, la Cattolicissima Spagna. Sequenze belliche d'apertura, l'apparizione della trapezista, il cantante Raphael come mentore ispiratore (a lui si deve il titolo originale e "l'arma del delitto", da Sin un adiòs), la chiusa nella camionetta della polizia, tutte di alto livello. Brividi, risate, memoria, riflessioni. Grandi titoli di testa e colonna sonora all'altezza. Non facile ma estremamente riuscito. Per chi ama l'abbondanza.

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