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Venere nera

Regia di Abdellatif Kechiche vedi scheda film

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La recensione su Venere nera

di supadany
8 stelle

Dopo due più che buoni film (“La schivata” e “Cous cous”), Kechiche sceglie di percorrere una strada impervia (e diversa nel tenore) raccontando la vita di Saartjie Baartman, soprattutto per le soluzioni che mette in atto, tutte rivolte a rendere crudele il suo destino ed il mondo che la circondò incapace di vederla semplicemente come una donna al pari di tutte le altre.

Saartje (Yahima Torres) diventa popolare grazie agli spettacoli che tiene a Londra nel 1810 assieme al suo padrone (Andrè Jacobs) nei quali fa la parte del mostro pericoloso sia per le sue sembianze che per i suoi atteggiamenti.

Dopo un processo nel quale fuga i dubbi sulla sua condizione i due si trasferiscono a Parigi insieme ad un nuovo socio (Olivier Gourmet) e qui, oltre a trovarsi in mezzo a spettacoli sempre più provanti (e provocanti) per la sua già precaria indole, viene fatta oggetto di studi da parte di alcune eminenze, precipitando sempre più verso i bassifondi sociali.

Pellicola durissima, già l’inizio, che poi si ricollega direttamente al finale, è glaciale e fa immaginare quanto andremo a vedere.

Una donna trattata come un animale per la sua diversità fisica negli spettacoli dove, per quanto si tratti di una sorta di “teatro” nel quale recita la sua parte, non accetta più di passare solo ed esclusivamente per un fenomeno da baraccone ed annega i suoi malesseri in copiosi bicchieri di whisky.

Ma anche quando la legge inglese si prefigge di difenderla in tribunale, non manca una stoccata (vedasi la frase sul finale del processo “perfino un’ottentotta viene difesa in Inghilterra”) e tutto il viatico che viene dopo è una strada sempre più verso il basso, fatta di maltrattamenti soprattutto morali e di un sogno di libertà ed ascesa che si frantuma contro una realtà sempre più difficile (per non dire impossibile) da accettare.

E le scelte del regista sono tutte mirate a rendere le sensazioni sempre più aspre, con un disagio interiore dello spettatore durante le scene più forti (che non sono per niente poche) ed un disgusto verso la maggior parte dei comportamenti altrui (raramente si registra una vera sensazione di disapprovazione per quanto accade da parte di chi al circolo vizioso partecipa sotto diverse spoglie), ed anche la durata estenuante (più di due ore e mezza con molte scene tirate per le lunghe ed a volte ripetute con poche integrazioni) non fa altro che amplificare quanto si prova, facendo risaltare tutto il negativo che viene mostrato.

Solo i titoli di coda danno una sorta di sollievo con le immagini di repertorio del recupero della salma (e degli organi conservati a parte) da parte del Sudafrica avvenuto pochi anni or sono, l’unica giustizia che la donna ha potuto conoscere, per quanto oltremodo tardiva, rimane un gesto simbolico di rispetto da parte del suo popolo.

Lavoro quindi difficile che non persegue scorciatoia alcuna nel suo incedere, un tema complicato che si può leggere ancora oggi sotto molteplici punti di vista (il trattamento riservato al diverso, la freddezza della scienza che non riesce a guardare oltre i suoi obiettivi, l’interesse economico) per un risultato limpido che scuote e che lascia residui depositi nel tempo.

Doloroso.

Su Abdellatif Kechiche

Se vogliamo è più accademico rispetto ai suoi recenti trascorsi, ma riesce a valorizzare appieno una serie di aspetti senza scegliere mai la strada più facile. 

Su Yahima Torrès

Protagonista a tutto campo.
Interpretazione fisica e struggente.
Brava.

Su Olivier Gourmet

Volto perfetto per il ruolo, sottilmente inquietante.
Efficacissimo.

Su Jonathan Pienaar

Pienamente sufficiente.

Su Andre Jacobs

Aderente e piuttosto efficace.
Discreto.

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