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Il sangue della bestia

Regia di Georges Franju vedi scheda film

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La recensione su Il sangue della bestia

di EightAndHalf
8 stelle

Le carni lacerate di un nuovo ciclo della vita.
La vita, in quella banlieu parigina che forse in questo film di Franju trova la sua prima rappresentazione umana (con il bacio di un uomo e una donna all'inizio del film), è necessariamente preceduta dal retrobottega del sostentamento, da una crudeltà quasi insostenibile nei confronti degli animali che, con precisione e perizia, vengono dissanguati, sbudellati, uccisi. Il mattatoio diventa l'Inferno sulla Terra, non c'è una presa di posizione né moralistica né compiaciuta, Georges Franju osserva la realtà rivelandone l'immensa variabilità e l'incredibile capacità di trasformazione. La musica dei titoli di testa, che presupporrebbe una visione piacevole, verrà immediatamente demolita da visioni sconcertanti e disturbanti di cavalli, mucche, agnelli e pecore che ignari vengono trasportati verso la morte. Oltre al fatto che Le sang des betes potrebbe essere (molto superficialmente) preso in considerazione come parabola animalista dai vegetariani più agguerriti, l'intento di Franju è chiaramente quello di scandalizzare lo spettatore col reale senza peregrinazioni artistiche e visive, alludendo tra le righe a quello che il sangue versato e le carni strappate simboleggiano: il compromesso dell'esistenza. Per ogni azione ne esiste una uguale e contraria. La città di Parigi, culla di contemplazione cartolinesca, è contrapposta ai tuguri dei mattatoi, in cui corpi umani tutti uguali e quasi privi di identità (nonostante di alcuni vengano fatti i nomi) sgozzano, decapitano, squartano, come se facessero azioni normali e abituali, anzi facendo azioni normali e abituali. Non c'è una presa di posizione nei confronti della specie umana, né recriminazioni a favore delle bestie, il regista francese semplicemente dissotterra ciò che della realtà non vogliamo vedere ma che ci è più vicino, e l'esempio più lampante è sicuramente quello della distruzione e della violenza accettata (civilmente) su animali che non sono dotati di facoltà intellettive ma su cui si riversa la nostra totale compassione. Non per smettere di mangiare carne, ma per guardare noi stessi allo specchio e riflettere veramente su cosa c'è dietro un bel ponte affascinante su un fiume o dietro un bel palazzo che in realtà accoglie quell'Inferno sulla Terra. E in questo breve corto quasi documentaristico, con tanto di voce fuori campo che cita Baudelaire, ci accettiamo a malincuore, e il nostro orizzonte vitale sembra interrotto e privato di qualunque altra possibilità. Con dolorosa inerzia ci porteremo avanti, pur sapendo che la realtà può essere splendidamente e terribilmente varia, e può offrire agli occhi spettacoli duri e potenti, che sporcano col sangue delle bestie i souvenir ottenuti dalle ossa delle mucche o la carne ottenuta dalla decapitazione di un agnello. Dietro qualcosa di immobile c'è sempre qualcosa di mobile e operante: i corpi decapitati degli animali che ancora muovono per un riflesso giusto precedente il rigor mortis le zampe come dimenandosi (come se l'anima visibilmente impercettibile faticosamente si privasse da un corpo in agonia) compongono un'immagine eloquente e chiara, il passaggio dalla vita alla morte, che può essere freddamente osservato senza alcuna pietas indotta. Sta all'uomo accettare il compromesso esistenziale, in tutte le sue caratteristiche che il film, dietro le righe e a partire dalla semplice realtà, suggerisce. Insostenibile. La mer di Charles Trénet riunisce la sporcizia, gli organi e il sangue delle bestie.

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