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Marty. Vita di un timido

Regia di Delbert Mann vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Marty. Vita di un timido

di ProfessorAbronsius
9 stelle

Due Marty a confronto in un unico dramma della timidezza e della solitudine.

 

Rovistando sugli scaffali della cineteca, tra miriadi di titoli ordinati per autore, cercavo un thrillerone del grande Michael Mann quando, casualmente, mi imbatto nella filmografia di questo suo omonimo: non Michael, ma Delbert Mann, omonimo e, mea culpa, anche anonimo regista di cui non conoscevo alcuna pellicola. Balza agli occhi un titolo e, soprattutto, un sottotitolo curioso e allettante: Marty - vita di un timido. In copertina il faccione "italiano" di Ernest Borgnine (all'anagrafe Ermes Effron Borgnino), protagonista di questa pellicola del 1955, che gli valse l'Oscar per la miglior interpretazione maschile nel '56.

Qualche momento dopo, la questione dell'omonimia continua a farmi degli strani scherzi. Ritorno con la mente a un altro titolo, quello di un fumetto da me tanto amato in adolescenza: Marty - Dylan Dog n° 244 (scritto da Sclavi e Neri e disegnato da Casertano). Quest'albo non è certamente uno dei capolavori sclaviani, ma mi è rimasto molto impresso soprattutto per la sensibilità con cui Sclavi ha ritratto il suo protagonista, Marty, un timido sessantacinquenne che conduce un'esistenza grama e solitaria, sospesa tra sogno e realtà, sino ad arrivare a reificare la sua vendetta personale contro i mostri di un passato altrettanto gramo e solitario, vissuto all'insegna dell'umiliazione. 

Mi ha alquanto sorpreso la somiglianza (credo voluta), tra il Marty Kevorkian partorito dalla penna di Sclavi/Casertano e il Marty Piletti impersonato da Borgnine. Una somiglianza che riguarda non solo l'aspetto fisico, ma anche quello psicologico di entrambi i personaggi.

 

Il Marty cinematografico è un corpulento trentaquattrenne italoamericano che vive la sua vita all'ombra di un'altro materno da cui fa ancora fatica a staccarsi. Non è affatto il prototipo del bellimbusto della New York degli anni '50. E anche il film, come è già stato notato, si discosta alquanto dalle «convenzioni hollywoodiane che, a metà anni Cinquanta, si concentravano ancora sui generi e sui divi» (cit. Sasso67).

«I'm just a fat little man, a fat ugly man!». È così che si definisce Marty prima di prepararsi all'ennesimo sabato sera vissuto alla disperata ricerca di una compagna di vita, convinto di essere condannato all'infelicità e alla solitudine, a un fallimento perpetuo che non fa altro che provocare mal di cuore. Eppure, di lì a poco, avviene l'incontro insperato, quello che unisce due infelicità, due corpi accomunati dalla bruttezza (ma solo quella fisica) e dall'emarginazione. Marty trova finalmente l'amore, ma, a causa della sua debolezza, rischia di perderlo per sempre. Sospinto da un moto d'orgoglio, non si lascia schiacciare dal peso delle convenzioni e convinzioni altrui (famiglia; amici; società), e finalmente re/agisce, diventa padrone del suo destino evitando di cadere nella palude sveviana dell'inettitudine e dell'insignificanza. Si precipita a un telefono a gettoni e chiama la sua amata. È un lieto fine a metà, perchè lo spettatore non può sapere effettivamente quale sia la risposta di lei, per quanto la sensazione predominante sia quella di un happy ending. Ma se così non fosse...

 

Risultato immagini per marty ernest borgnine

 

... se così non fosse, e ne scrivo solo per pura suggestione, idealmente ritroveremmo Marty Piletti nei panni di Marty Kevorkian, molti anni dopo (gli anni della vecchiaia), in Inghilterra, solo e ancora in lotta con i suoi fantasmi. L'alter ego sclaviano del Marty archetipico appartiene alla «gente comune» (è questo il leitmotiv su cui si basa la vicenda del fumetto). È l'ipotetico vecchietto che s'incrocia per strada, o seduto su una panchina al parco. Uno dei tanti, con tante storie da raccontare, e nessuno a cui raccontarle. Marty ha un tumore al pancreas che sta per portarlo via, ha gli occhi solcati dalla tristezza, un animo avvilito e senza pace, un volto segnato dalle brutture (più che dalla bruttezza) di un passato che ritorna come un incubo inestinguibile, un incubo mortifero e mortificante che tenta di esorcizzare in una rêverie fatta di violenza e di crudeltà, al punto tale da partorire un fantasma bello e vincente, un angelo vendicatore che ripara tutti i torti subiti, quelli passati e quelli presenti, uccidendo chiunque abbia umiliato il suo creatore.

 

What if..., dicono gli inglesi. Cosa succederebbe se Marty fallisse di nuovo, e non trovasse l'amore? Se il giovane Marty cinematografico si reincarnasse nel vecchio Marty fumettistico? Una metempsicosi che probabilmente esiste solo nella mia testa. Ma se così fosse, la storia di Marty finirebbe così:

 

Diremo forse un giorno: "Ma se stava così bene..."

Avrà il marmo con l'angelo che spezza le catene...

E a poco a poco andrà via dalla nostra mente piena,

soltanto un impressione, che ricorderemo appena...

 

Risultato immagini per marty dylan dog

 

 
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