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Vision

Regia di Margarethe Von Trotta vedi scheda film

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La recensione su Vision

di OGM
8 stelle

La protagonista dell’ultimo film di Margarethe von Trotta è Hildegard von Bingen (1098-1179), mistica, predicatrice e studiosa tedesca, che fu badessa benedettina a partire dal 1136. Decima figlia di una famiglia aristocratica, entrò in convento, per volere dei genitori, all’età di otto anni. Già da bambina risultava affetta da improvvisi malori, accompagnati da visioni celestiali. Quando, su esplicita autorizzazione del pontefice, il contenuto di queste ultime venne divulgato, Hildegard acquistò fama  e prestigio. Da allora è venerata come santa, benché non ci siano pervenuti documenti attestanti la conclusione del suo processo di canonizzazione, avviato nel 1228. Nel 1979 è stata presentata un’istanza di inclusione di Hildegard von Bingen nell’elenco dei Dottori della Chiesa.

Di questa suora oggi si sa poco o nulla. Eppure la sua vita, trascorsa quasi interamente nelle stanze della clausura, ha rappresentato un elemento di rottura rispetto alla visione medioevale della donna. Cresciuta in un monastero misto, e retto da religiosi di sesso maschile, una volta divenuta magistra della sezione femminile, seppe organizzare una vera e propria secessione, ottenendo l’indipendenza e il trasferimento delle consorelle ad altra sede.  Al principio della sottomissione incondizionata oppose un’illuminata volontà riformatrice che, pur nel rispetto delle regole dell’ordine, intendeva aprire nuove strade alla manifestazione del pensiero umano e alla celebrazione della gloria di Dio.   L’obbedienza, di cui pure era una fervida assertrice,  non doveva più risultare  in conflitto con la ricerca sui fenomeni naturali, né con l’espressione creativa dell’arte.  Fu autrice di trattati di biologia e di medicina (contenenti prescrizioni per la cura con le piante e i minerali), di brani di musica liturgica e di un dramma teatrale sulla lotta tra l’innocenza e il demonio. La sua concezione teologica, presentata in tre trattati, era improntata ad una pacifica fusione tra l’uomo e il resto del cosmo, tra la sua parte spirituale e quella corporea: un’armonia non automatica, ma realizzabile unicamente con un preciso impegno ispirato dalla fede, e realizzato tramite il ritorno a Dio.  Nel film, Hildegard è, in effetti, una sacra icona fatta di carne, che partecipa, insieme al circostante ambiente monacale, alla  rigorosa compostezza della ritualità e della disciplina, e, in ugual misura, alla fisicità delle debolezze e delle emozioni. La sostanza del discorso è una fragilità inquadrata in una cornice solenne, sobria e severa:  un dipinto a sfondo religioso che, come, tutte le storie di estasi, vocazioni, sacrifici,   racchiude, negli angoli oscuri, dubbi insidiosi e facili entusiasmi, ed anche le più banali invidie, gelosie ed egoistiche ambizioni. Non è un  caso se, nella predicazione di Hildegard, l’insegnamento cristiano va di pari passo con un messaggio di progresso sociale:  l’anima è il centro dell’universo, ma è circondata dal mondo finito, di cui condivide i mali, i dolori e le fatiche. In questo tormentato contesto, la bellezza interiore è un dono che si costruisce e si preserva grazie ad un costante sforzo di perfezione. La regia di von Trotta trattiene volutamente l’azione nei limiti di questa esigenza di ordine, modestia e temperanza, dando un’immagine cinematografica della virtù operante, che esprime la sua combattività attraverso la resistenza, intesa come razionale contenimento degli impulsi. Ciononostante, in superficie restano visibili le tracce dei moti interiori, che sui volti diventano, a seconda dei casi, luce o penombra, dolcezza o durezza.  Tutto, in definitiva, appare studiato, eppure inequivocabilmente vivo. Nelle visioni di Hildegard, la potenza divina è una luminosità sovrumana che parla il linguaggio degli uomini: il contorno è abbagliante, ed appartiene a una realtà superiore; però,  al suo interno,  pulsa un tenerissimo cuore di verità terrena. 

 

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