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Lebanon

Regia di Samuel Maoz vedi scheda film

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La recensione su Lebanon

di Peppe Comune
7 stelle

Assi (Itay Tiran), Shmulik (Yoav Donat), Herzl (Oshri Cohen) e Ygal (Michael Moshnov). Sono, rispettivamente, il capo carro, l'artigliere, l'addetto al caricamento e l'autista di un carro armato dell'esercito israeliano. Quattro ventenni lontani anni luce dallo stereotipo del soldato coraggioso e ansioso di sacrificarsi per la patria. Quattro militari di leva che si trovano nel bel mezzo della guerra contro il Libano del 1982 con il compito di perlustrare una zona già rastrellata a dovere dai bombardamenti dell'aviazione israeliana. Qualcosa non va come dovrebbe e quella che a detta del comandante Jamal (Zohar Shtrauss) doveva essere una semplice operazione di routine che avrebbe dovuti portarli al sicuro nell'albergo Saint Tropez (esotismo quanto mai beffardo), si trasforma in una pericolosa trappola per topi.

 

 

Samuel Maoz ha vissuto in prima persona l'esperienza di cui parla e "Lebanon"è un'opera convintamente condotta contro ogni guerra. L'apporto di originalità dato a questo genere filmico sta nel suo essere, più che un film sulla guerra, un film nella guerra, somigliando in questo al bellissimo "Kippur" di Amos Gitai, anch'esso ambientato "nel" conflitto mediorientale e frutto dell'esperienza diretta dell'autore. Non è un caso. Evidentemente, chi ha vissuto in prima persona certe orrende situazioni, avendone le possibilità, sente forte il bisogno di far trasparire dall'opera che produce la tragicità della propria esperienza in tutta la sua corposa carnalità, di dare assai risalto ai rumori, ai gemiti, allo sporco che disumanizza oltre misura, alla ferraglia ciondolante, si da rafforzare il grado di identificazione con i protagonisti e imparare a riflettere meglio sull'assurdità della guerra guardando l'orrore che produce coi loro stessi occhi. "Lebanon" è questo, un viaggio claustrofobico nell'allucinante faida mediorientale, tra macerie e fumi, corpi sventrati e sangue rappreso : un corollario di morte da cui non si può prescindere e dal quale si può sperare di uscire solo da sopravvissuti. La morte è vista da un mirino telescopico e ha la faccia sempre uguale dei più deboli di questa sporca vicenda : quelli a cui non viene attribuito alcun valore quando i realisti della politica disegnano sulle carte le tappe delle loro strategie guerrafondaie. I ragazzi attraversano l'orrore e non gli basta essere al chiuso di un mezzo corazzato perchè la desolazione che è fuori gli ritorna indietro sotto forma di paura e frustrazione crescenti e arriva a farsi odio per chi li ha costretti a stare lontani dalle loro mamme (per chi conosce "Kippur" noterà un'altra assonanza). Durante la premiazione a Venezia, Samuel Maoz disse di aver voluto fare questo film per togliersi un peso di dosso, lo scopo era quello di "riuscire finalmente a perdonarmi", dato che "nonostante non avessi scelta , non posso fare a meno di sentirmi responsabile". Non so se l'autore israeliano sia riuscito nel suo intento. E' una questione strettamente personale. E non voglio neanche aprire la spinosa questione su se sia lecito giustificare chi ha premuto un grilletto. Quello che posso dire è che "Lebanon" ha dato il suo contributo alla giusta causa condotta contro ogni guerra. Per aver mostrato con lucida espressività le caratteristiche di desolazione e morte che gli sono indefettibilmente proprie. 

 

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