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The Horde

Regia di Benjamin Rocher, Yannick Dahan vedi scheda film

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FABIO1971

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La recensione su The Horde

di FABIO1971
6 stelle

Jimenez (Aurélien Recoing), Ouessem (Jean-Pierre Martins), Tony (Antoine Oppenheim) e Aurore (Claude Perron) sono quattro poliziotti nelle banlieues di Parigi: devono vendicare un loro collega ucciso dalla banda del nigeriano Adewale (Eriq Ebouaney) e di suo fratello Bola (Doudou Masta) e braccano le loro prede nel covo dove si sono rintanate, all'ultimo piano di un palazzo fatiscente e semiabbandonato ("Entriamo, facciamo piazza pulita e ammazziamo chiunque ci impedisca di uscire, chiaro?"). La missione, però, fallisce: Adewale li scopre, Jimenez viene ucciso e Tony ferito gravemente. Ma c'è di peggio: l'edificio, infatti, è infestato da un'orda di zombi inferociti e ai sopravvissuti, attesi, per salvarsi, da una lotta disperata e terrificante, non resta che unire le proprie forze, prima su fino al tetto, per rendersi drammaticamente conto della situazione senza scampo, poi giù per scale e corridoi, fino al garage e alla cantina, all'angosciante ricerca di una via di fuga. Sarà un bagno di sangue. 
Esordio nel lungometraggio di Benjamin Rocher e Yannick Dahan (già insieme nel 2008 nel corto Rivoallan) sotto l'ala protettrice dello Xavier Gens di Frontiers (voce narrante nella versione originale), autori, con Stéphane Moïssakis, Arnaud Bordas e Nicolas Peufaillit (tutti giornalisti, come lo stesso Dahan, della rivista francese Mad Movies) anche della sceneggiatura: come per il film di Gens, evocato sin dalla lussuosa fotografia di Julien Meurice (anche lui all'esordio nel lungometraggio), l'approccio al genere è sfrontato e improntato sulla goliardica sanguinarietà dell'horror d'Oltralpe (la corrente meno protesa all'esplorazione dell'interiéur...) e, come Frontiers, questo The Horde si svela all'appassionato con spettacolare evanescenza. Unità di tempo, luogo e azione, ritmo forsennato, tensione incalzante, effetti speciali e make-up strepitosi, brividi ed efferatezze. Ma anche stereotipi, personaggi monodimensionali, sottotesti e metafore eccessivamente schematici, dialoghi truci e spesso al limite della dozzinalità, incongruenze, un finale prevedibile, oltre a un'orchestrazione del racconto scandita da elementari progressioni drammaturgiche (e senza particolari scossoni a budella e sistemi nervosi): la stessa rielaborazione dimamica di una tematica carpenteriana fino al midollo come l'Assedio, inscritta e aggiornata nelle atmosfere putrefatte dello zombie movie romeriano, dopo qualche esaltante guizzo iniziale, smarrisce a poco a poco ogni virulenza, senza riuscire a trasfigurare nel raccapriccio la mattanza splatter. Restano, ovviamente, l'evidente passione degli autori e lo sfrenato divertimento dell'esibizione, dove la logica del videogame massacratutto trionfa tra schizzi di sangue e brandelli di carne e l'obiettivo della macchina da presa finisce per confondersi con il joystick.

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