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Tron Legacy

Regia di Joseph Kosinski vedi scheda film

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La recensione su Tron Legacy

di FilmTv Rivista
6 stelle

Linee di luce nello spazio nero, scie luminose che si attorcigliano su tre dimensioni, ribaltamenti, rifrazioni, trasparenze tra vari livelli di profondità: un’iconografia che si evolve dall’originale degli anni 80 in un’opera d’ambizione visionaria per il nuovo cinema stereoscopico. E pure una sorta di laser show concerto del duo Daft Punk, la cui musica quasi incessante è a tratti elettronica, ma più spesso una sorta d’incrocio tra l’adrenalinico tema di Jason Bourne e il tetro risuonare di quello di Inception. Le promesse sono in gran parte mantenute, ma si accentuano dal primo film anche la banalità e gli inceppi della sceneggiatura. Per esempio la prima parte, con il figlio di Dillinger, la riunione della Encom e il ruolo assurdamente defilato di Bruce Boxleitner, ossia il creatore del programma Tron, è meramente funzionale a segnare lo stacco tra il 2D del reale e il 3D del virtuale. I due mondi erano più interconnessi nella pellicola originale e se si pensa a quanto oggi siamo a contatto con l’informatica è già chiaro che qualcosa non funziona. Tanto Tron era ricco di invenzioni visive, quanto il sequel è ossessionato dalla fedeltà e incapace di stupire se non (inizialmente) sul versante dell’azione. Le architetture e l’arredo da “discoteca labirinto” trendy minimal non meravigliano e il nascondiglio di Flynn, tutto in bianco stile 2001: Odissea nello spazio appare risaputo, nonché ridicolo quando è servita a tavola una porchetta virtuale. Sul versante delle idee, nel primo Tron si respiravano ambizioni (pur confuse ma certo avanti sui tempi) da fantascienza filosofica, con programmi che credevano negli utenti come fossero divinità, mentre qui la preziosa diversità dell’intelligenza artificiale, punto cardine del film, sfugge: declamata in più punti non è mai messa in scena. Impressionano il sinistro e ringiovanito Jeff Bridges, Michael Sheen che balla e ammazza come una star glam rock e le sinuose Olivia Wilde e Beau Garrett. Peccato che due ore siano troppe e scorrano come l’update di un glorioso ma vecchio programma.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 52 del 2010

Autore: Andrea Fornasiero

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