Regia di Asghar Farhadi vedi scheda film
Premettiamo che, nonostante qualche richiamo ai film dei maestri, Asghar Farhadi non è né Antonioni né Buñuel e, dato che siamo in Iran, non è nemmeno Kiarostami. Però, pur annotando qualche difetto (i personaggi hanno facce fin troppo carine; il meccanismo della sceneggiatura ci mette un po' ad ingranare), il film tutto sommato funziona. E funziona come trama, perché alla fine ci si appassiona per sapere cosa veramente sia successo, ma funziona anche come metafora e descrizione della Repubblica Islamica presieduta da Ahmadinejad, moderna nelle tecnologie, ma arretrata nella mentalità e ben rappresentata da questa classe di giovani borghesi, un po' schiavi e un po' artefici di quelle idee arretrate (un maschilismo retrivo è un tratto distintivo di troppe società, non soltanto islamiche, del terzo millennio). L'automobile impantanata sulla battigia che si vede nel finale rende chiaro il senso dell'operazione del regista, che è in possesso di una tecnica non indifferente. Per la serie "maccheglielodicoaffà": ancora una volta assurdo che in Italia ci dobbiamo sorbire, come titolo del film, la traduzione inglese dell'originale farsi.
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