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L'Onda

Regia di Dennis Gansel vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su L'Onda

di giancarlo visitilli
8 stelle

Se con La classe di Cantet eravamo dentro le mura, qui, nonostante la classe e la scolaresca, l’onda prorompe i muri e, come ogni cattiva ideologia, non sa quali vie scegliere. L’omonimia del film con il recente movimento studentesco italiano, antiriforma Gelmini, nulla ha in comune.
Potentissimo, ma soprattutto di grande attualità, il film di Dennis Gansel, in tempi in cui il dubbio lascia perplessi anche gli uomini di grande fede (?).
Come sarebbe oggi il nazismo, in un paese liberale come l’attuale Germania? E’ possibile che tale mostruosità e il suo impeto, come un’onda, un uragano, possa ritornare? Il pretesto a tali interrogativi è la lezione di storia di un insegnante punk-rock, diviso tra Ramones e Clash, in un istituto di scuola superiore tedesco, che per spiegare la storia del partito nazionalsocialista e la dittatura di Hitler dà vita ad un esperimento, originando, praticamente in classe, un movimento chiamato “L’Onda”. Tutto, nell’aula e nei luoghi da essi frequentati, è caratterizzato dalla rigida disciplina, che trasforma l’aula scolastica in una stanza da caserma e gli alunni in una specie di soldati, obbedienti in tutto al loro capo-insegnante, dal modo di salutarlo fino all’osservazione ampia e per niente motivata di una serie di regole rigidissime. Come se non bastasse quanto già conosciamo di realmente accaduto, mediante lo studio della storia, sulle origini e le conseguenze della Germania nazista e dell’Italia fascista, sappiamo anche che anche il film è basato sulla storia realmente accaduta nel 1967, in una scuola di Palo Alto in California, che ha ispirato “Il segno dell’onda”, di Ted Strasser, un testo scolastico conosciutissimo in Germania.
Ma il film non è solo il discredito di un orrore che si vorrebbe per sempre cancellare, non dalla memoria, piuttosto dalla storia contemporanea di ogni popolo, ma è anche una vera e propria indagine sulle ragioni del vuoto esistenziale e il disagio, appartenente soprattutto alle giovani generazioni, e di come questi possano diventare gli stimoli per alcuni per ergersi come i paladini e i risolutori di tante insoddisfazioni, generando apocalittici scenari, di cui in parte, come italiani paghiamo ancora un forte debito culturale, religioso e politico.
Sarà per smentire le voci dei cardinali che screditano l’Olocausto, o addirittura mettono in dubbio l’esistenza di tale barbarie, ma il cinema contemporaneo, mai è stato tanto prolifico in film sull’argomento: da Le vite degli altri, a La caduta, passando per i più recenti Operazione Valchiria a The Reader, sono tutti ‘documenti’ di una storia ch’è vera non solo sul grande schermo, ma ha lasciato i segni potentissimi nelle vite di milioni di persone. Tutti i film sull’argomento sembrano mettere in discussione le origini del pensiero riformistico di ogni buon ministro, ancora legato ai simboli (che non sono mai come le metafore della poesia), al saluto, ma soprattutto alla divisa. La vera grande lezione di questo film sta nel mettere molto bene in evidenza le suggestioni a cui spesso, a prescindere dal colore politico, non sappiamo ancora resistere, quelle che costituiscono la base di ogni potere politico. Temporale o spirituale, la storia ci ha sempre insegnato che il potere non ha mai utilizzato altri mezzi per enunciarsi, che il carisma del capo, i dogmi, le verità indissolubili, l’indottrinamento e le conversioni forzate, fino ai saluti e alle divise.
Bella la regia e l’uso sempre proficuo del montaggio visivo e sonoro, nel film, oltre alla caratterizzazione dei protagonisti, di gran lunga lontani dai nostri adolescenti mocciani, instupiditi e incatenati ai soliti concetti dell’autarchia dell’amore stupido, a cui ci si lega per sempre, finanche con un lucchetto. E il rischio è che come paese lì si rimanga ancorati.
Giancarlo Visitilli

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