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Tony Manero

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Tony Manero

di ed wood
8 stelle

Il film che ha rivelato la figura di Pablo Larrain nel panorama festivaliero internazionale è un'opera tanto stimolante quanto, in parte, irrisolta. Film-apologo complesso, leggibile a più livelli: da un lato, aspra ricognizione sul periodo più fosco nella Storia recente del Cile, la dittatura di Pinochet; dall'altro, cinica riflessione, veicolata sui binari di uno straniamento grottesco, sulla civiltà telecratica e tutti i suoi feticci; infine, spettrale discesa negli abissi della perversione umana, fondata sulla figura del protagonista, Raul, sorta di mostro psicotico dedito a violenza, incesto e persino una defecazione ai danni di familiari e chiunque altro ostacoli la sua ossessione (essere il simulacro di Tony Manero). Ed è in quest'ultimo frangente che il film eccede in brutalità, facendo passare Raul per un pazzo fuorioso, un "caso clinico" che perde così consistenza metaforica: difficile vedere in Raul il cileno medio ai tempi miserabili di Pinochet, conformista come si richiede (con la forza) a qualsiasi cittadino in un regime fascista. E qui sta la differenza con un altro film a cui, per affinità tematica, "Tony Manero" si può accostare, ossia "Reality" di Garrone, quello sì del tutto risolto sul piano della metafora e impeccabile nella gestione del registro "grottesco quotidiano". Larrain cerca l'astrazione, ma si imbatte invece nella fredda realtà di strade svuotate dalla paura e dai coprifuochi, officine nelle quali reperire gli scarti di quel Primo Mondo (gli amici americani di Pinochet) che "riempie" di immaginari kitsch (la disco-music, le sue luci, i suoi abiti) le vite dei derelitti sudamericani, cupi interni domestici in cui inscenare un life-style di celluloide fra soprusi e aberrazioni (e la donna eternamente succube consapevole del potere maschile): il perfetto clone di Tony Manero in giro sull'autobus diretto allo studio televisivo, mentre la famiglia viene rastrellata dalla polizia, non basta a dare una forza simbolica alla vicenda raccontata. E se alcuni aspetti, come ad esempio la "devoluzione" del desiderio erotico, traslato da una dimensione umana ad una virtuale e inquinato nella palude della sopraffazione, paiono un po' pretestuosi, "Tony Manero" resta tuttavia un'opera da vedere e rivedere, per l'inconsueto sguardo sulla dittatura che fu, per la messinscena dell'invadenza televisiva (poi ribaltata nell'elegia dolce-amara di "No - I giorni dell'arcobaleno"), per l'atmosfera cupa e silente, ma soprattutto per la performance inquietante e memorabile di Alfredo Castro.

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