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Hard Candy

Regia di David Slade vedi scheda film

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La recensione su Hard Candy

di Kurtisonic
6 stelle

La vendetta è un sentimento così facilmente adattabile dall’aver contagiato qualsiasi genere cinematografico fino a rigenerarsi nella sua manifestazione più essenziale in un sottogenere dedicato, il cosiddetto revenge movie, capace di muoversi all’interno di una storia dai contenuti  anche molto più complessi. Nel corso degli anni gli autori del cinema hanno sempre più prosciugato il racconto per focalizzarsi sull’atto stesso, sulla sua realizzazione, scarnificando progressivamente il plot narrativo mettendo al centro il gesto sempre più esasperato e violento, tendenza che perdura dagli anni 70 con titoli che hanno fatto storia, quali per esempio, L’ultima casa a sinistra (1972) del recentemente scomparso Wes Craven. Lo scenario esterno si trasforma, dagli orizzonti polverosi del west  alle strade  del giustiziere della notte, ai nuovi paesaggi d’oriente contaminati dalla modernità, alle tentazioni offerte dal nuovo benessere e dal desiderio di evasione dalla tranquillità quotidiana. L’ambiente si  sposta da un’ipotetica sala di tortura adattata casualmente o meno nello spazio comune e condiviso, in uno interno e personale come le mura di casa, che simbolicamente  sembrano imprigionare i processi mentali del  vendicatore.

. Hard candy ricalca abbastanza fedelmente questo schema, ci si può rifare ad un illustre precedente come La morte e la fanciulla (1994) per  inquadrare la sua struttura compresa quella emotiva, ma più che davanti alle perversioni della storia politica come nel film di Polanski, siamo di fronte a quelle di un uomo comune, la cui aberrazione arriverebbe alla pedofilia e poi all’omicidio. Hayley è una spregiudicata quattordicenne, che attraverso una chat entra in contatto con un adulto Jeff, fotografo professionista. Una volta conosciuti, poiché la ragazza è alla ricerca dell’assassino di una sua amica, il loro incontro prenderà una piega inaspettata per l’uomo,  sospettato di essere il responsabile. La scena è dominata dall’ambiente di casa di Jeff  e dai due personaggi,  ai quali gli attori che li interpretano, una quasi esordiente Ellen Page e Patrick Wilson conferiscono credibilità e un’ immedesimazione notevole. La scelta del regista David Slade è quella però di far convergere sulla protagonista femminile tutte le sfaccettature per definire la sua personalità di vendicatrice senza peraltro sollevare troppi dubbi sull’inevitabilità della sua azione.  Il personaggio di Jeff appare meno multiforme, lasciando forse troppo trasparire una verità a senso unico che non rivela. In questo modo Slade gioca a carte scoperte e non mette troppo a confronto due personalità a loro modo sconcertanti, rimanendo invece sull’asse canonico del vendicatore al quale tutto o quasi viene permesso alzando la soglia del sopportabile ai danni di una vittima verso la quale diventa ammissibile ogni tipo di ritorsione. Prendendo spunto dall’attività dell’uomo, come detto un fotografo affermato, sarebbe stato possibile ricorrere di più allo studio del suo sguardo attraverso le immagini dei suoi lavori che magari indugiare sul volto in preda alle angherie di Hayley. Lo scambio dei ruoli avviene ma non solleva dei forti dubbi, piuttosto blandisce l’idea base che rispetta lo schema del revenge movie. Il regista Slade sfrutta dialoghi tenuti sempre in sospeso verso quella verità, ma  si muove anche con riprese inaspettatamente dinamiche all’interno della casa non facendo mai allentare quel senso di angoscia e di tensione che percorre tutto il film. L’ambiente di casa diventa il palcoscenico nel quale esibire la follia di chi ha del potere in mano senza dover rendere conto ad altri della propria azione, il filo che unisce vendicatore e vittima è quello  che determina il loro modo di essere, di mostrarsi. Nel privato, nell’intimità più profonda e liberata da ogni freno inibitore, con il pieno arbitrio di farsi vedere dall’altro  sotto forma di verità discutibile l’uno diventa il pubblico senziente dell’altro in un crescendo di drammaticità e di sconforto.

Rivelazione del film, Ellen Page trasmette tutte le ambiguità di un personaggio a sua volta disturbato ma che incarna le pulsioni dell'età che rappresenta, un eccesso di disincanto e di cinismo che vorrebbe anche mettere a fuoco le responsabilità di un mondo adulto che non offre alcun riferimento se non quei valori materiali, edonistici, svuotati di ogni senso morale verso i quali operare una decisa forma di rottura. 

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